Due giorni dedicati ai delle persone disabili, con la prima edizione bolognese del Disability Pride, grazie all'attivismo di Elena Rasia e Margherita Pisani.

Nuovi attivismi

Stiamo vivendo tempi  di “attivismo”, che si esprimono in azioni formali, informali, più o meno non istituzionali, attraverso atti individuali, movimenti artistici, marce di protesta di massa (si confronti il recente The Routledge Handbook of Disability Activism curato da Berghs, Chataika, El-Lahi, Dube). Un attivismo di hashtag (ad es. #BlackLivesMatter, #JeSuisCharlie, #MeToo), dei consumatori, per il clima, per la pace, per un cambiamento globale collettivo, per singoli temi, per singole persone, magari strette in architetture politiche più ampie (ad esempio la mobilitazione per Zaki o tutte le campagne di Amnesty International, change.org, eccetera). Sono mobilitazioni considerate democratiche e orizzontali, a cui ognuno può aderire anche con un semplice click da casa propria, da quando, con l'impatto dei social (e video, podcast, crowdfunding), i confini tra vita pubblica e privata sono sfumati, il personale diventa politico e discorsi e spazi pubblici diventano “occupati” dall'azione diretta di proteste di massa.

Al contempo, notano Berghs et al, questo “nuovo attivismo” non è privo di critiche,  rubricato da alcuni ad atto principalmente “online”, “cyber” o “digitale” poiché l'impatto quantitativo, o la vitalità online di una campagna, non sempre si traduce in un vero cambiamento. Sembra quasi, azzardano gli autori, che sia diventato “di tendenza” proclamarsi “attivisti” in termini di gestione dell'identità neoliberista, viatico di accesso alle risorse e marchio di virtù: “L'attivismo è diventato un'altra merce su cui buttarsi, in termini di neoliberismo, offuscando così i confini tra consumismo, umanitarismo e resistenza”.

Ma, concludono gli autori, ciò che manca in questi attivismi globali è troppo spesso la “”, e lo è in modo particolare se consideriamo di vivere in quelli che alcuni hanno definito “Crip Times” o di austerità neoliberista che colpisce e crea (McRuer, 2018) e che di conseguenza rende invece urgenti manifesti collettivi di giustizia for all.

Non che non esista, anzi l'attivismo legato ai temi della ha una storia lunga (UPIAS, Indipendent living, design for all, “nothing about us without us”, visual activism, eccetera,) ma non sempre viene percepito in un'ottica universale, piuttosto pende solo dal lato dei “” delle persone disabili, con una portata interculturale e interdisciplinare inadeguata. Spesso è erroneamente visto come qualcosa di “speciale” o “diverso”, con un impatto politico o sui umani limitato,  che chiama in causa solo chi ha un contato diretto con la .

Dietro ai movimenti collettivi per la divenuti movimenti collettivi globali, è necessario comprendere l'importanza di modelli e teorie che ne hanno permeato i confini teorici, epistemologici e applicativi: dal premoderno modello della carità, al moderno modello medico, superato e/o integrato dal modello sociale, rivisitato nelle sue versioni critiche e autocritiche (Shakespeare 2017) più sensibili alle complessità esistenziali e pragmatiche delle varie forme di disabilità che non scompaiono semplicemente eliminando le barriere sociali.  Situazioni che si mostrano più evidenti nel caso di disabilità cognitive, intellettive e del comportamento. In generale, tuttavia, il modello sociale – che ha portato l'attenzione alla rimozione delle barriere disabilitanti nella/della società per garantire universali di benessere e cittadinanza è alla base del movimento per la vita indipendente e della legislazione contro la discriminazione nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Europa e in Canada (Barnes 1991; Vanhala 2010). Un movimento di base che è diventato un movimento globale che promuove il protagonismo attivo del “Niente su di noi, senza di noi” e i della disabilità (Charlton, 1998).

C'è infine da considerare, seguendo il ragionamento di Berghs e gli altri, che la storia dell'attivismo è stata vista principalmente dal nord del mondo, laddove, in risposta, hanno iniziato ad evolversi nuovi modelli come quello latino, africano e asiatico. Ad esempio, ci sono modelli ispirati alla teoria e all'etica dell'Africa meridionale, come un modello Ubuntu di disabilità (Chataika et al. 2015). Chi come, Patrick Devlieger (Devlieger et al. 2016) hanno sostenuto un modello culturale di disabilità, una visione semiotica e materialista più transnazionale sulla disabilità. Ma un modello unificante del Sud del mondo non si è ancora evoluto e permangono richieste di decolonizzazione degli studi sulla disabilità e sullo sviluppo (Kolářová 2016). Sono stati anche richiesti modelli più forti per proteggere i diritti come il modello sociale dei diritti umani (Berghs et al. 2019) o un modello più radicale di disabilità (Berghs 2015), che si concentrerebbe sulle cause strutturali della disabilità e sui cambiamenti politici per la giustizia della disabilità. Altri vedono un nuovo slancio nei modelli emancipatori della disabilità (Barnes 2014).

Tuttavia, se guardiamo al mondo accademico e non dell'attivismo, emerge un messaggio di resistenza e speranza che viene portato avanti principalmente dalle persone disabili piuttosto che dagli enti di beneficenza o dalle ONG (Wong 2018). Williams-Findlay (2018) sostiene che qualsiasi ricerca condotta sulla vita delle persone disabili deve concentrarsi sulla resistenza, i diritti e la rivendicazione. A questo proposito, vediamo un modello attivo di disabilità (Levitt, 2017) che potrebbe emergere in termini di nuove teorie e modelli di resistenza, speranza e recupero.

Ritornando in territori più vicini emergono in Italia numerose forme di attivismo che potremmo definire incorporate in pratiche esistenziali della disabilità che sfidano l'attivismo e si muovono verso un attivismo epistemologico, portato avanti da persone disabili e non. Sempre più corpose forme di attivismo vengono negoziate in ambito medico (e di resistenza psichiatrica) ponendo le basi affinché l'identità categorizzante della “disabilità” venga indebolita da una resistenza incarnata e in prima linea correlata all' “esperienza vissuta” di persone in carne e ossa rivendicata come competenza (McWade et al. 2015). Lo si vede nei termini del movimento della “neurodiversità” (Ortega 2009) che sostiene un'identità neurodiversa e una “politica neurodiversa” (Runswick-Cole 2014). Il lavoro di studiosi-attivisti che sono aperti sulle loro identità e sul loro posizionamento morale nei dibattiti su lingua, identità e pratiche di ricerca è stato fondamentale (Milton 2017). C'è stato anche un movimento simile nei mad studies (LeFrançois et al. 2013), che si basa sulla “ricerca sui sopravvissuti” nella salute mentale per recuperare esperienze dal controllo professionale (Faulkner 2017).

 

Il Disability Pride in Italia

“Corpi differenti, menti divergenti, stessi desideri” è lo slogan del Disability Pride 2022, la manifestazione pubblica annuale del Disability Pride Network (www.disabilitypridenetwork.org), una rete aperta, nazionale ed internazionale, costituita da diverse realtà, nata dall'ideatore del Disability Pride, Carmelo Comisi. Si tratta di un “presidio permanente” e in continua espansione, che “intende promuovere ed affermare un nuovo modo di vivere, pensare e valorizzare la disabilità”. “Il Disability Pride – si legge nel suo sito ufficiale- riempie la strada dei corpi fisici di persone incomprimibili in un'unica definizione, ma che insieme reclamano pari dignità e diritti. […] Il Disability Pride Network si propone come interlocutore che opera a livello nazionale e internazionale al fine di incidere su un reale cambiamento culturale, e […] garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità”.

Le realtà che si riconoscono negli intenti del Disability Pride condividono i seguenti principi, come obiettivi da realizzare: “1) sostenere e promuovere l'autodeterminazione delle persone con disabilità, rispettandone dignità, autonomia e indipendenza; 2) rispettare e promuovere il valore delle differenze tra gli individui; 3) sostenere e incentivare ricerca scientifica e innovazione tecnologica; 4) educare a una cultura che non contempli la discriminazione; 5) sostenere e promuovere le pari opportunità, in particolare nei settori formativo e lavorativo, tra persone con e senza disabilità; 6) affermare il valore del contributo attivo delle persone con disabilità, valorizzandone attitudini e competenze; 7) incoraggiare il percorso evolutivo e le capacità dei bambini con disabilità, preservandone identità e potenziale evolutivo; 8) promuovere linguaggi e comportamenti in grado di superare stereotipi e pregiudizi riferiti alle persone con disabilità; 9) rivendicare, sostenere e promuovere l' universale, in ogni sua declinazione, con particolare riguardo a oggetti, luoghi, linguaggi, saperi. promuovere un turismo sostenibile per le persone con disabilità, con un'attenzione particolare al superamento delle barriere architettoniche, alla reale ai mezzi pubblici, alle strutture alberghiere, ai luoghi di svago; 10) rendere realmente fruibile il patrimonio materiale e immateriale dell'umanità. Senza discriminazione alcuna nei confronti delle diverse forme di disabilità”.

In cammino dal 2018, la parata ha visto i suoi primi passi a Ragusa, è passata per Palermo, Napoli, per poi approdare a Roma come tappa fissa nazionale. Quest'anno, però, l'attivismo del Pride ha quadruplicato le sue azioni proponendosi anche a Milano (3 luglio), a Roma (23, 24 settembre) a Bologna (1, 2 ottobre prossimi) per la prima volta e infine presto  a Torino.

 

Per la prima volta a Bologna

Per sapere come sia arrivato a Bologna abbiamo intervistato le promotrici dell'iniziativa, due attiviste bolognesi – Elena Rasia e Margherita Pisani – che da qualche anno stanno portando avanti un progetto sperimentale e innovativo di abitare collaborativo: Indi Mates, “un progetto sociale di coinquilinaggio sperimentale e scambio alla pari che chiunque può realizzare” (www.indimates.it).

Uno scambio alla pari che ribalta la concezione classica dell'assistenza (dal più forte al più debole), in termini di reciprocità. Forse, volendo ragionare sulla sua etimologia, ci porta piuttosto al riconoscimento della sua dimensione relazionale più profonda. L'assistere si definisce nella co-presenza, nell'essere-con-l'altro entro relazioni di prossimità che strutturano l'esperienza delle persone implicate (Monks, Frankenberg 1995). L'etimologia del verbo (dal latino ad-sistere, “stare accanto”) richiama anche quella prossimità intercorporea che può produrre senso di protezione, affettività, fastidio. Assistere, come verbo transitivo, equivale ad “aiutare”, “soccorrere”, oppure “fare una attività di supporto”, “collaborare”. Ma nel suo significato intransitivo è invece “essere presente”, “presenziare”. Nel mondo della disabilità, dei servizi, nella scuola, nel lavoro, si assiste spesso ad “una specie di iper-attivazione del datore di cura, a scapito dell''essere presente del paziente' (Minelli, Redini 2012) senza contare del potere che “la manipolazione curativa” (Pizza 2005) ha sulla costruzione della relazione, del corpo e delle persone.

Pertanto, Elena e Margherita ci tengono a riconoscere la potenza attivista e alternativa del loro progetto decisamente illuminato (i servizi, dice Elena, mi avrebbero proposto una casa appartamento) che sfida la retorica dell' sul piano temporale e desiderante di una vita, nella pratica di un progetto vissuto in prima persona e decisamente possibile, e che non può non problematizzare gli aspetti della vita sociale, delle istituzioni e delle politiche. Quasi a sfidare sul campo, per citare Medeghini (2015), “il concetto di disabilità assunto come concetto non problematico di «generi naturali», chiedendo cosa essa sia in effetti” e riconsiderare, piuttosto, gli instabili confini della categoria dell'umano.

Prima di dare la parola alle promotrici, per concludere, una domanda, o forse una provocazione. È ancora corretto, epistemologicamente, parlare di “disability” e di “pride”, quando la disabilità è così radicalmente contingente e interdipendente dai contesti, dalle condizioni materiali, sociali e culturali, così intersezionale modellata com'è dall'etnicità, dal genere, dalla classe? È corretto promuovere l'orgoglio contro una società disabilitante, ma al contempo riaffermarne simbolicamente e discorsivamente l'esistenza? Ovvero, per dirla meglio, “senza affrontare totalmente la relazione fra piano lessicale, discorsi, cultura e il loro ruolo soprattutto nei processi di oggettivazione. Pensare ai discorsi […] significa quindi interrogarsi sulla propria produzione epistemologica per evidenziare i saperi di riferimento; sulle proprie pratiche e formazioni discorsive (modi, espressioni, termini, concetti, valutazioni, regole, prescrizioni amministrative, procedure d'osservazione); sull'asimmetria comunicativa, orale e scritta, che, fondandosi sui ruoli, marginalizza i discorsi delle persone con disabilità” (Medeghini 2015).

Ma “nulla su di noi, senza di noi”, perciò parliamone, ma intanto andiamo al Disability Pride, un'occasione importante per vedersi, conoscersi e rivendicare una strada di attivismo intimo e collettivo che ci vede tutti coinvolti.

 

Indi Mates: coinquiline per scelta

Innanzitutto, come siete entrate in contatto con la rete del Disability Pride Network?

ELENA: Un po' per caso, in realtà. Noi nel 2020 abbiamo fatto un'intervista al TG Uno, dove abbiamo raccontato il progetto Indi Mates nel giorno dedicato alle persone con disabilità, il 3 dicembre. Da quel momento lì abbiamo avuto un effetto mediatico importante, quindi siamo arrivate anche a realtà a noi sconosciute come il Disability Pride Network. Carmelo [Comisi] ci ha contattate e ci ha proposto di diventare relatrici per il Disability Pride e di presentare chi siamo. E da quel momento ci siamo avvicinate a questo gruppo di persone e abbiamo scelto di portare il Disability Pride anche qua a Bologna.

Vi siete confrontate con altre associazioni di persone con disabilità o con altri progetti di avanguardia come il vostro? E con la Consulta per la disabilità di Bologna avete avuto contatti per il 2 ottobre?

ELENA: Rispetto al progetto Indi Mates non ci siamo confrontate con nessuna realtà, associazione già esistente o simile perché è nata da una mia esigenza, e quindi è stata una mia idea quella di vivere in modo indipendente, con uno scambio alla pari che poi ha incontrato Marghe e da lì è nata insieme l'idea di raccontarlo sui social, e quindi Indi Mates, perché non diventi solo un progetto chiuso all'interno delle nostre quattro mura, ma possa diventare una possibilità di scelta anche per altri e per un durante noi insomma. Per quanto riguarda il confronto con altre associazioni per il Disability Pride, è nato da una nostra proposta di portarlo a Bologna, casualmente, mentre eravamo in parata al Disability Pride di Milano. Abbiamo taggato il Sindaco di Bologna e da lì è nato tutto. Poi dopo ci siamo confrontate con le altre realtà del network, con la Vicesindaca, la Consigliera [delegata alla famiglia, disabilità e sussidiarietà circolare] Ceretti e da lì abbiamo coinvolto anche la Consulta del volontariato invitando tutte le realtà del a partecipare.

Cosa ne pensate dell'associazionismo delle persone con disabilità, in generale e in particolare qui a Bologna?

MARGHERITA: Allora crediamo che le associazioni legate alle persone con disabilità nel fare il bene delle persone con disabilità fanno anche il bene di tutti, quindi cercano delle soluzioni, cercano di rivoluzionare quella che è l'architettura generale della nostra società che sia mentale oppure concreta, fisica in quel senso lì, cercano di far capire che un riadattamento a vantaggio di tutti è possibile ed è fattibile se tutti ci crediamo anziché accettare che le cose sono fatte in un certo modo e devono restare tali e chi non riesce a starci non è adatto. No, è la città e la società che si devono adattare alle persone stesse e non il contrario.

ELENA: Un lavoro di molto importante soprattutto a Bologna, in particolare, è una città dove si riesce molto bene, dove le associazioni hanno molto spazio quindi anche il mio pensiero è quello che ha appena detto Marghe, ma dall'altro lato penso anche che molto spesso le associazioni si chiudano nell'essere associazione e facciano un po' fatica a mescolarsi agli altri: quindi sono assolutamente molto importanti e molto positive, ma sarebbe bellissimo se al di là delle associazionismo si incontrassero sempre di più le persone.

Cosa intendete per Pride? E quale legame con l'intersezionalità (1)?

MARGHERITA: Allora innanzitutto il Disability Pride noi lo abbiamo portato a Bologna, ma è nato altrove, da un attivismo che lotta per l'intersezionalità e l' delle persone con disabilità; quindi, il messaggio iniziale è quello proprio dell'attivismo delle persone con disabilità che vogliono essere non solo partecipi, ma vogliono essere considerate persone esistenti, con le loro caratteristiche. Esistenti e senzienti e padrone dei propri destini, quindi il messaggio iniziale è molto più potente. Io personalmente – sono Margherita – non ho una disabilità e non è una cosa su cui posso…condividere, non posso dire la mia da quel punto di vista, proprio perché, non avendo una disabilità, non sono coinvolta, la mia persona non è coinvolta in ciò. Io appoggio e sostengo quelle che sono le lotte delle persone con disabilità e di quelle che sono anche le lotte di Elena che non solo è la mia coinquilina, ma è diventata anche una mia carissima amica e con cui ormai sono anche molto legata.

ELENA: E mi attacco al discorso di Marghe per dire che il Disability Pride è proprio questo, cioè nel nostro esempio piccolo si vede benissimo la potenza del messaggio del Disability Pride perché io sono coinvolta magari in prima persona, tra virgolette, di più rispetto a Marghe perché ho una disabilità, ma in realtà è coinvolta tanto quanto me anche Marghe senza avere una disabilità. E quindi il Disability Pride va a toccare veramente tutti, non è una sfilata delle persone con disabilità fine a se stessa, ma è veramente un mescolare i corpi diversi, le menti diverse, insieme, per far sì che la disabilità non sia più un mondo a parte quindi nel nostro piccolo esempio, che poi è la nostra quotidianità, portiamo avanti un messaggio più grande e che il Disability Pride sta cercando di far capire un po' in giro per tutta Italia e ci sta riuscendo perché l'anno scorso si faceva solo a Roma, mentre quest'anno sono già quattro le città in cui in cui si fa, quindi direi che è questa è questa la forza del Disability Pride.

A livello teorico quali sono i riferimenti dietro l'impostazione del Pride. E voi che posizione avete?

ELENA: Allora a livello teorico per quanto riguarda il Pride, onestamente, io non vi so dire quali siano i riferimenti,  io vi so dire che è un movimento di persone, soprattutto di persone, dove esiste anche la disabilità, che sono attive nei confronti di quello che gli succede intorno e del mondo che li circonda quindi non hanno l'atteggiamento magari che purtroppo hanno molte persone con disabilità, l'ho visto anche nella mia storia personale perché sono costrette a stare in una determinata bolla o a seguire determinate direttive, ma alzano la testa e si tirano fuori dal proprio guscio e cercano di far sì che ciò che hanno dentro diventi anche ciò che li circonda. Quindi sicuramente essere attivi per la propria vita e autodeterminati, persone con disabilità e senza disabilità che vanno avanti insieme perché l' diventi veramente reale. Questo è il mio punto di vista e io non ho studiato, faccio attivismo relativamente da poco, da un paio d'anni, da quando io e Marghe ci conosciamo, e so che ogni volta personalmente che facciamo queste cose, partecipiamo ad eventi, ci sentiamo… torniamo a casa che siamo ancora più energiche, quindi ci crediamo tantissimo.

MARGHERITA: Quindi la nostra posizione possiamo dire che per noi l'intersezionalità è il mostrare alle persone che altre opportunità e possibilità esistono e che come dice Elena spesso sono le persone con disabilità che devono imporsi nell'ottenere le proprie soluzioni ed essere padroni, più che padroni essere protagonisti delle proprie vite.

ELENA: E sono, aggiungo anche, che sono felice da un certo punto di vista che noi non abbiamo studiato determinate cose legate al mondo della disabilità, perché questo ci permette di avere un approccio che non si va a incasellare in determinate cose che ti insegnano e devono essere fatte così, quindi un approccio spontaneo, naturale, reale, un po' come quando ho incontrato Marghe per Indi Mates e le ho chiesto: “tu hai mai avuto a che fare con la disabilità?”. “No”. Ecco è proprio questo quello che secondo me è importante, che non ci devono per forza essere ruoli definiti che si occupano di certe cose, perché sennò la bolla non scoppia, ma diventa sempre più grande.

Rispetto ai servizi per la disabilità, cosa ne pensate? In particolare, come si realizza per voi, nei fatti, la personalizzazione dei servizi e il progetto di vita che sembra diventare un nuovo fondamentale indirizzo?

ELENA: Io personalmente del progetto di vita penso… molte volte mi succede ancora adesso che si ritrovino a parlare di me senza di me, penso che si debba partire proprio dal fatto di mettere la persona anche se ha una disabilità, anche se magari non arriva al cento per cento sulle cose, anche se si pensa di non coinvolgerla perché deve avere una vita già impostata, fatta di sicurezza eccetera che invece bisogna… è proprio lì che bisogna coinvolgerla. Quindi il progetto di vita, nel mio caso ad esempio, mi sono imposta per far sì che partisse prima di tutto da me, quindi come volevo vivere io, come mi immaginavo il mio futuro e non che decidesse qualcun altro al posto mio che è un po' quello che andiamo a dire in giro quando raccontiamo di Indi Mates. Quindi penso che i servizi debbano abituarsi sempre di più a considerare la persona disabile al loro stesso livello, per poter fare un lavoro di squadra che sia efficace, perché alla fine è la mia vita, non è la vita della mia assistente sociale che mi organizza le cose; quindi, se non parla con me come può sapere che cosa è meglio per me. Cioè secondo me bisogna proprio cambiare l'approccio del “parliamo tra professionisti e decidiamo noi che cosa è meglio”.

MARGHERITA: Il nostro progetto innanzitutto è questo. Elena in cambio di un aiuto fisico offre un posto letto. Quando cercava una coinquilina aveva bisogno di una copertura notturna, in quanto i servizi a una certa ora staccavano e lei si ritrovava da sola e avere qualcuno durante la notte le consentiva di poter stare in un appartamento per i fatti suoi, senza dover tornare a casa dei suoi genitori, quindi ottenere una sua indipendenza, un suo spazio privato. E attualmente il nostro progetto è personalizzato in base alle necessità di entrambe e quando io non sono a casa e sono appunto al lavoro, Elena ha la sua assistente personale che è una figura molto importante perché l'assistente personale non è una OSS, non è una badante, non è nemmeno un'educatrice, non è un educatore. È letteralmente le braccia e le gambe di Elena, è un'estensione della volontà di Elena e le permette di fare il cavolo che vuole.

ELENA: È molto importante anche per la riuscita di un progetto come questo perché si modella in base alle mie esigenze e quindi non è l'educatrice che ti manda il servizio che dici “sta tre ore e poi va a casa, quello che è riuscita a fare riuscite a fare”. No! è proprio un condividere le cose, organizzarsi insieme, noi molte volte ci mettiamo al tavolo e se ci sono dei cambiamenti rispetto alla quotidianità o alla routine ne parliamo e ci veniamo tutte incontro, anche perché come ha detto prima Marghe non è solo il mio progetto, ma il nostro progetto. Non ci sono solo le mie esigenze, ma ci sono le nostre. Infatti io al weekend per scelta, e mi rendo conto che sto capendo che è una scelta che non è molto utilizzata, cioè ce l'ho io questo pensiero, questa – passatemi il termine – apertura mentale, nel weekend io vado a casa dai miei genitori, cioè il sabato sono con l'assistenza e la domenica sono dai miei genitori che comunque mi costa un po' di difficoltà perché stanno in un posto sperduto, perché sono anziani, quindi molto spesso la domenica mi ritrovo tutto il giorno su una poltrona e io sono super attiva e ho molta difficoltà a stare tutto il giorno su una poltrona, però lo faccio perché è giusto che io abbia i miei spazi e che Marghe abbia i suoi spazi e finché ho la possibilità di farlo che i miei genitori ci sono che ci sia anche questo scambio. Che i miei genitori siano informati, comunque, vedano come vivo e che non siano totalmente esclusi come di solito tendono a fare i servizi che organizzano le cose per il loro utente – parola che non mi piace neanche un po' – e la famiglia rimane assolutamente fuori. No! io io sono dell'idea che finché i miei genitori ci sono per quello che posso, mettendo sempre avanti la mia privacy, voglio coinvolgerli tant'è che mia mamma fino a tre anni fa non dormiva tranquilla pensando al mio futuro, adesso  molto spesso la invitiamo anche qui a casa a prendere un caffè e lei è contenta.

MARGHERITA: Quindi in parole povere, rispetto reciproco degli spazi e dei tempi, rispettare quelli che sono appunto gli accordi di base e alla fine ognuno si fa comunque la sua vita in tutto ciò.

ELENA: E quando scegliamo di stare insieme è perché lo scegliamo, punto, non perché siamo obbligate.

 

Francesca Pistone, Luca Negrogno
Collaboratori Istituzione Gian Franco Minguzzi

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Note

(1) A Bologna a giugno 2022 c'è stato il “Rivolta Pride” (e i suoi “Stati genderali” del 14 e 15 maggio scorso) che quest'anno, per la prima volta, ha coniugato alla causa LGBTQIAP+ il tema disabilità (sezione dei lavori “persone disabili e neurodivergenti”) in linea con le direttive del DDL Zan.

Il programma dei due giorni del Disability Pride prevede il 1 ottobre una giornata di talk in Piazza Coperta di Sala Borsa (dalle 14:30 alle 18:30) e il 2 ottobre il corteo/parata da Piazza delle Medaglie d'Oro a Piazza Maggiore, dalle ore 16 alle 19. Qui i dettagli: www.facebook.com/events/3307634526149183?active_tab=about

Sito Raccolta Fondi del Disability Pride Bologna:

www.gofundme.com/f/disability-pride-bologna?utm_campaign=p_lico+share-sheet&utm_medium=copy_link&utm_source=customer

 

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