Un breve tour nell’eterogeneità dell’outsider art bolognese a partire dalla collezione personale di Sara Ugolini.

Da più di dieci anni mi occupo di arte irregolare, prima collaborando con l’insegnamento di Psicologia dell’arte dell’Università di Bologna, poi da libera ricercatrice.

L’incontro con questo contesto creativo ha a che fare con la scoperta, spinge a muoversi sul campo e può offrire l’opportunità di progettare iniziative di valorizzazione legate al territorio.

Nel 2015, per esempio, pensavo di organizzare un piccolo tour per i visitatori interessati a scoprire qualcosa sull’arte irregolare a Bologna. Era nata da poco “Guide me right”, piattaforma che metteva in contatto viaggiatori e “local friend” con lo scopo di offrire ai turisti, pagando una quota minima, esperienze culturali e socializzanti fuori dai circuiti canonici.

Immaginavo di usare casa mia come punto d’incontro per un gruppo di tre, quattro persone, di iniziare a raccontare qualcosa dell’affascinante vicenda dell’arte irregolare, di illustrare qualche testo, qualche catalogo espositivo particolarmente ben confezionato e di mostrare dal vivo alcuni lavori che conservo.

La seconda tappa prevista era il quartiere Bolognina, a casa dell’artista autodidatta Maria Concetta Cassarà, dove ipotizzavo potessimo fermarci per una pausa conviviale in compagnia dell’autrice nel salottino gremito di sue creazioni. Pensavo poi di recarmi con il gruppo a Borgonuovo di Sasso Marconi, dove si trova l’atelier specializzato Marakanda, un laboratorio di libera espressione artistica che accoglie individui con disabilità.

Anche se quest’ultimo occupa un ex spazio industriale, all’interno l’atmosfera è raccolta, familiare. L’idea di muoversi tra spazi intimi, protetti, mi sembrava del resto una buona idea, sia per l’importanza che assume la casa nell’arte irregolare in quanto luogo elettivo del processo creativo, sia perché nel settore turistico l’ambiente domestico è una meta sottovalutata, di cui si tende a ignorare il contributo nel cogliere l’identità di un individuo e di un paese.

Il tour che avevo in mente non ha mai avuto luogo, tramite “Guide me right” ho ricevuto una manciata di adesioni ma i tempi degli interessati erano stretti e inconciliabili con quelli necessari per svolgere la visita. Non so quindi come sarebbe andata, che tipo di partecipanti mi sarei trovata davanti, quanto, attraverso le mie descrizioni, sarebbe arrivato loro del territorio ampio e molteplice che viene identificato con la formula “arte irregolare”.

Di fronte a questa iniziativa rimasta incompiuta, dallo spazio di questo blog prendo le mosse per parlare nuovamente di arte irregolare. I visitatori questa volta sono virtuali. L’innegabile vantaggio è che non ci sono spostamenti da organizzare e il tour può protrarsi senza vincoli di tempo.

Per parlare di arte irregolare si potrebbe partire dalla letteratura sull’argomento. Monografie su singoli autori e su collezioni nascenti, raccolte di testi che indagano i retroscena storici e le prospettive dell’Outsider Art, resoconti di tragitti esistenziali che incrociano creazioni inaspettate, e ancora proposte editoriali su attività educative progettate avendo in mente l’immaginario visivo dell’arte irregolare. È il caso del libro Atelier inclusivi con l’Art Brut. Percorsi per la scuola primaria (scritto nel 2021 da Alessandra Falconi e Valentina De Pasca per Erikson), dove il processo di creazione dell’Outsider Art diventa un appello alla libertà espressiva per chi conduce e viene coinvolto in laboratori creativi organizzati.

Del resto è la natura stessa del progetto di Dubuffet a garantirne l’attualità, consistendo, ancora prima che in un serbatoio di opere sommerse, in una domanda sullo statuto dell’arte, su chi la produce e chi la fruisce.

A casa, oltre ai libri, conservo una serie di lavori. Non si tratta di una collezione bensì di qualche opera appesa alla parete e di altre, in attesa di una collocazione migliore, ammucchiate dentro gli armadi, incastrate tra una libreria e il muro, appoggiate sul pavimento dentro un raccoglitore.

La maggior parte delle creazioni mi sono state regalate o mi sono giunte come ricompensa per una qualche attività svolta. Qualche opera l’ho acquistata, di altre si potrebbe dire che sono la conservatrice.

È il caso del lavoro di Maria Concetta Cassarà, autrice autodidatta che ho conosciuto e iniziato a seguire nel 2010. Le opere che ho a disposizione permetterebbero di ricostruire abbastanza nel dettaglio il suo percorso creativo, i temi ricorrenti (santi, bouquet di fiori, carretti trainati da asini), anche i suoi momenti di sperimentazione su supporti inusuali, come un vassoio in formica.

Maria Callegaro Perozzo, di cui conservo una piccola tempera (I sette colli di Roma, 1998) è per diversi aspetti vicina a Maria Concetta. Anch’essa ha iniziato a dipingere in età matura, ha lavorato come sarta prima della pensione e ha elaborato un immaginario collegato al mondo ultraterreno. Ma l’universo figurativo di Maria Concetta è filtrato dal ricordo degli oggetti della devozione cattolica, statuette e immagini votive, mentre quello di Callegaro Perozzo descrive un universo visionario, popolato di demoni, figure angeliche e simboli misteriosi.

Un’opera tessile realizzata a Marakanda da Veronica Albertini, la stessa autrice del castello-cuscino qui accanto.

 

Dell’autrice che si firma “Melina” sono le tre opere grafiche che descrivono le circonvoluzioni di un teschio.

 

 

 

 

 

 

 

Nell’espositore, sulla destra, una scultura di Andrea Giordani, “La signora rigogliosa”, del 2014.

Giordani, che vive a Bologna, è conosciuto soprattutto per i suoi disegni, accostabili al fumetto underground.

Carlo Giampiccolo è un ingegnere bolognese in pensione che da autodidatta si dedica da più di quarant’anni anni all’attività artistica. È suo l’intervento grafico su una fotografia pubblicitaria che trasforma la testa, come accade in numerose sue opere, in una fiamma stilizzata che evoca le fattezze di un diavolo.

 

 

 

Opera ad acrilico e pennarello di Giuseppe Zivieri, un pittore che esordisce come naif per approdare, attorno agli anni 2000, a uno stile originale fatto di puntini, segni grafici e piccole presenze antropomorfe.

 

Composizione astratta realizzata con paillettes e altre decorazioni di merceria da un autore anonimo.

 

 

 

 

All’interno della fotografia, sul lato destro,, una figura su cartoncino dorato di Luigi Gerani, attivo del laboratorio “La Manica Lunga officina creativa” di Sospiro (CR).

 

 

Carlo Montresori è autore di una serie sterminata e coerente di disegni a pennarello che ha come soggetto principale il paesaggio naturale e architettonico.

 

L’intento, nel prossimo futuro, è di condividere in questo spazio altri percorsi virtuali, di raccontare incontri con autori sconosciuti e dal punto di vista stilistico poco inquadrabili, di valorizzare fondi privati e pubblici, come quello dell’Istituzione Gian Franco Minguzzi.

A distanza di sette anni dalla pubblicazione di La via più breve non è quella retta. Saggi sull’outsider art, una raccolta di testi promossa proprio dall’Istituzione Minguzzi, mi sento di riconfermare le parole con cui concludevo al tempo l’introduzione: ciò che l’Outsider Art ha racchiuso e continua a custodire è lontano dal dirsi esaurito e da travalicare la necessità di un’attenzione mirata.

Sara Ugolini, storica dell’arte