Secondo dobbiamo superare l´attuale frammentazione e categorialità delle per creare un più inclusivo.

Le determinano forme di stratificazione e di ingiustizia. Sembra contro intuitivo per noi che siamo abituati a pensare che le sono il principale strumento per garantire l'uguaglianza. Dal punto di vista delle scienze sociali, però, le appaiono anche come particolari forme di stratificazione, di distribuzione dei rischi, che possono favorire certi gruppi a svantaggio di altri. Mentre si sviluppa il dibattito sulle misure di politica economica per fronteggiare la crisi, abbiamo chiesto al prof. , Docente Ordinario di comparate all'Università di Vienna, di fornirci un quadro per capire questi fenomeni, anche a partire dai primi ammortizzatori sociali disposti dal Governo.

“Le politiche sociali hanno la funzione di redistribuire la ricchezza che una società produce e possono essere di varia natura. Studiarle consente di comprendere chi ne beneficia, quali condizioni pongono per accedervi, verso quali strati di società orientano una parte delle risorse che emergono dallo sforzo collettivo. Allo stesso modo, rientra nello studio delle politiche sociali la definizione del come e del dove si debba trarre questa parte di risorse. Per esempio: attraverso la fiscalità generale; oppure intervenendo direttamente come Stato nella produzione; oppure garantendo (o meno) l´accesso a forme di edilizia popolare per una quota più o meno alta di popolazione, ai servizi educativi gratuiti per l´età prescolare, a infrastrutture e servizi pubblici essenziali.
La politica opera differentemente, decidendo priorità e favorendo alcuni rispetto ad altri, seguendo specifici valori o principi di riferimento, che in democrazia possono essere in conflitto, competizione o alleanza tra loro. Anche i non esperti, cioè la stragrande maggioranza della popolazione, devono potersi fare un'idea di quali implicazioni certe decisioni possano avere e se queste coincidano con il proprio concetto di giustizia sociale. Per funzionare, quindi, è necessario che le democrazie godano di un dibattito chiaro e consapevole sulle tematiche di cui abbiamo parlato. Solo sulla base di questo si può consapevolmente sfruttare questo momento emergenziale per andare verso un sistema più giusto. Oggi possiamo collettivamente riflettere sull'opportunità o meno di un ritorno allo status quo esistente prima della crisi da coronavirus, perché emergono con più chiarezza i limiti di quella situazione, e le diseguaglianze che ha prodotto. Possiamo anche cercare di indirizzare le scelte attuali e future verso un sistema più giusto”.

 

Il prof. Kazepov studia da 20 anni le politiche sociali in un'ottica comparata, confrontando cioè la loro forma e il loro impatto nei vari paesi europei. Dal suo punto di vista la crisi pandemica in atto sta esasperando ed estremizzando le disuguaglianze insite nel nostro sistema di . Questo accade perché, secondo un'ottica comparata “non tutti i gruppi sociali sono a rischio nello stesso modo. Laddove il ha un'impostazione categoriale, nel senso che definisce l'accesso ai benefici sulla base della categoria sociale a cui si appartiene (e.g. lavoratori/disoccupati, dipendenti/lavoratori autonomi o di alcuni settori economici specifici, famiglie numerose/single, etc.), i rischi vengono distribuiti in modo diverso rispetto ai paesi che hanno forme di universale. L'Italia ha una forma di marcatamente categoriale: a differenza di tutti gli altri paesi europei (tranne la Grecia) non ha avuto una misura di sostegno universale al reddito fino all'introduzione del Reddito di Inclusione (dal 2017), poi ampliato e in parte modificato dal Reddito di Cittadinanza. Entrambe le misure, però, sono ancora lontane, per estensione e importi, dalle forme di sostegno al reddito in vigore nella maggioranza degli altri paesi europei”.

 

Quale analisi si può fare, per iniziare, sugli ammortizzatori sociali messi in campo dal Governo?

“Gli interventi di protezione sociale del Governo hanno cercato di compensare – confermando l'abituale frammentarietà delle politiche sociali italiane – alcune delle situazioni emergenziali più difficili (e.g. bonus per lavoratori autonomi, dipendenti con cassa integrazione e blocco dei licenziamenti per 60 giorni, sostegno alla sussistenza attraverso i Comuni, sostegno finanziario alle imprese attraverso le banche, etc.).
Malgrado negli ultimi decenni siano stati fatti passi avanti importanti nell'omogeneizzazione dei criteri (si pensi alle pensioni o all´indennità di disoccupazione), il problema delle diseguaglianze tra “inclusi” ed “esclusi” non è ancora superato (per esempio, il decreto “milleproroghe” annualmente promuove micro-interventi settoriali e particolaristici, che non hanno una ratio comune). Non è un caso che l´Italia è in Europa uno dei paesi che – pur avendo una spesa sociale vicino alla europea – ha una capacità redistributiva molto limitata”.

 

Può spiegarci meglio cosa si intende con “categorialità” del welfare?

“Le singole misure di welfare individuano sempre, nella loro architettura istituzionale, categorie di beneficiari. Più i criteri identificano tipologie di popolazione diverse (comunità redistributive), più c'è il rischio che questo non rifletta situazioni di reale bisogno, ma piuttosto il potere negoziale delle categorie stesse. I gruppi sociali più vulnerabili sono anche quelli che hanno meno possibilità e capacità di negoziare. Proprio per questo bisogna guardare al welfare come a uno strumento di stratificazione delle società. Ogni paese ha un'architettura istituzionale differente, che segue principi regolativi differenti. In questo senso, politiche diverse stratificano le società in modo diverso focalizzandosi su alcuni problemi, alcuni gruppi o bisogni, e lasciandone fuori altri. La crisi attuale esaspera le disuguaglianze prodotte da questa stratificazione, laddove la categorizzazione e le differenze di trattamento sono storicamente più radicate”.

 

Perché, cosa sta succedendo?

“L'eccezionalità della situazione estremizza le disuguaglianze e fa emergere le difficoltà in modo più netto. Prendiamo ad esempio la categoria dei lavoratori autonomi che in Italia è estremamente varia: sappiamo che c'è una quota importante di evasione fiscale[1] tra i lavoratori autonomi, ma c´è anche una larga quota di precarietà crescente che è costretta ad accettare un inquadramento “autonomo”. Per questi ultimi la situazione attuale è particolarmente problematica e ne ha esasperato la vulnerabilità.
Anche coloro per i quali le attività sono aumentate, non necessariamente sono in una situazione migliore. Si pensi ai rider che consegnano pasti e spesa a domicilio: le tutele e la sicurezza sul lavoro sono quanto meno dubbie. Chi lavora nella ristorazione e nel turismo è in una condizione drammatica: si pensi che in alcuni paesi come la Grecia questo settore contribuisce per circa il 20% del PIL, quindi possiamo già immaginare l´impatto socio-economico terribile che la situazione attuale avrà questa estate. In Italia è poco meno del 14% e anche qui l´impatto sarà significativo”.

 

Le misure emergenziali cosa fanno emergere?

Le misure emergenziali sono un tentativo di trovare una soluzione agli effetti drammatici che le diseguaglianze di trattamento e sostegno producono in una situazione estrema come quella attuale. In una situazione “normale” queste diseguaglianze vengono compensate dalla presenza di entrate economiche. Tuttavia queste entrate, pur risolvendo il problema nel presente, spostano il problema verso il futuro.
Si pensi ai giovani e alle crescenti forme contrattuali precarie che essi accettano pur di trovare un lavoro, e che produrranno povertà quando queste persone raggiungeranno l'età pensionabile. La maggior parte di queste forme di precariato è diventata insostenibile già oggi, minando la certezza delle entrate contingenti.
La crisi mette quindi il governo di fronte a un dilemma: da una parte intervenire in maniera puntuale su alcune categorie per compensare la diseguale distribuzione delle risorse; dall'altra utilizzare questa opportunità di intervenire strutturalmente sul design istituzionale del welfare italiano e riequilibrare la situazione. Non è semplice, considerando la storia delle politiche sociali italiane e come si sono stratificate nel tempo e la loro path dependency”.

 

Che cosa intende? Cosa sono le path dependency?

Nelle scienze sociali, il concetto di path dependency indica la difficoltà a modificare un particolare assetto istituzionale o comportamento che si è cristallizzato nel tempo. Questo esprime un certo equilibrio tra rapporti di forza di gruppi sociali diversi con interessi diversi, che generano istituzioni e misure di intervento peculiari non necessariamente volte al bene pubblico e alla massima utilità per tutti, anzi”.

 

Può aiutarci a capire meglio questo concetto?

“Il fatto che in un momento storico risultino tutelati certi gruppi rispetto ad altri indica che, in seno alle rappresentanze degli interessi e tra gli attori sociali più significativi, si sono cristallizzati certi equilibri nei rapporti di forza, che si sono tradotti in misure specifiche sul piano legislativo. Una volta, per esempio, la Cassa Integrazione poteva essere utilizzata solo dagli operai delle grandi imprese del settore industriale.
Un esempio più recente è la proposta di un “reddito di emergenza” per una fascia specifica di popolazione che ha perso il proprio reddito in settori particolarmente vulnerabili. Il reddito di emergenza è una “pezza” temporanea che, però, induce la domanda: è bene avere un reddito minimo, una rete ultima di supporto che includa tutte le persone in condizioni di bisogno economico? Che caratteristiche deve avere?
Le misure emergenziali dovrebbero stimolare una riflessione sulla necessità di andare verso un approccio più universalistico e più adeguato. Per esempio: ampliare la platea di aventi diritto delle misure che già esistono a tutta la popolazione ed erogare somme più adeguate per far fronte alle difficoltà.
Per darle un´idea a Vienna dove vivo una coppia in condizioni di bisogno economico riceve 1.376€ fintanto che la condizione di bisogno persiste. In Italia? Per il REI erano 294€ per un massimo di 18 mesi; il reddito di cittadinanza che lo ha sostituito, ha aumentato l´ammontare a 1.092€.
Che un reddito minimo serva è innegabile e in tutti i paesi europei una qualche forma di sostegno al reddito esiste. Ma “il diavolo sta nel dettaglio” ed è lì che bisogna guardare per capire il grado di inclusività della misura: il design istituzionale definisce chi ne ha diritto, per quanto tempo, a quali condizioni e se la misura è accompagnata da misure attive e se è adeguata o meno a far fronte ai costi di vita in un determinato contesto.
Se si studia in termini comparati il reddito minimo universale nei vari paesi europei emergono differenze proprio su questi punti. Paesi che hanno misure più universali ed inclusive intervengono ora ad altri livelli, cercando di evitare che la popolazione cada in una situazione di bisogno economico. In Italia sarebbe necessario un cambiamento culturale!”

[fine della prima parte, qui la seconda parte]

 

L'intervista a è di Luca Negrogno.

 

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[1] Si veda il rapporto della Commissione Giovannini http://www.dt.mef.gov.it/modules/documenti_it/analisi_progammazione/documenti_programmatici/def_2019/Allegato_NADEF_2019_Relazione_evasione_fiscale_e_contributiva.pdf