Ospitiamo la seconda parte dell'intervento di , membro del Comitato Tecnico Scientifico del progetto -Work, che riprende il discorso iniziato su questo blog sul tema . Nella puntata precedente, l'attenzione si era centrata sull'importanza del linguaggio, che con le sue funzioni denotative e connotative porta a costruire categorie che spesso si abbattono pesantemente sulle persone, risultando in una discriminazione più o meno velata. In proposito, Alessandro Rosina, autorevole studioso del tema, scrive che “Il problema non sta nella sigla ma nell'averla trasformata da condizione oggettiva (giovane nella condizione di ) a etichetta personale ma anche giudizio soggettivo (“sei un ”). Quindi la sigla è utile usarla come condizione oggettiva, ma dal punto di vista tecnico (come gli indicatori sulla disoccupazione, o sulla povertà, ecc.). Altra cosa è quando ci si rivolge direttamente alla persona. Mica diciamo a un giovane “ciao povero, che ne dici di seguire un progetto che può aiutare quelli come te”? Quindi sbagliato chiamare le persone “”, ma corretto usare l'indicatore NEET come misura di quanti si trovano in condizione bloccata nella transizione scuola-lavoro” (comunicazione personale).

Il contributo che segue intende approfondire – in modo ironico ed efficace, ricorrendo anche a Oscar Wilde- alcuni aspetti di questa condizione di Adulti in Transizione, ponendo ulteriori quesiti e rilanciando ulteriori sfide, non solo ai lettori ma anche a studiosi, operatori, amministratori, politici, qui invitati a intervenire.

Seconda parte di  …da NEET a YouGiT

La piccola-grande avventura[1] è iniziata. Il progetto per 10 GAT ( Adulti in Transizione) è iniziato, a dispetto del COVID e grazie alla passione e alla duttilità organizzativa dei partner del progetto, dei singoli organizzatori ed operatori.

Completata la fase di selezione dei partecipanti sono iniziati i laboratori e anche la formazione dei Case Manager, che seguiranno individualmente ogni partecipante.
È proprio una frase chiave emersa durante la formazione dei Case Manager che mi ha spinto a questo ulteriore contributo.
La frase è “Un sarto che ti aiuta a cucirti un vestito” e risponde alla domanda “chi è il Case Manager?” e rappresenta una risposta molto impegnativa.

La frase implicitamente attribuisce alla/al giovane:

  • competenze, ad esempio quella non banale di infilare il filo nell'ago, una capacità fine di coordinamento occhio-mano.
  • capacità di scegliere: un pantalone a zampa di elefante piuttosto che un completo gessato
  • dei desideri: di amare, stare bene con gli altri, di vivere in un mondo migliore (anche dal punto di vista dell'ambiente), di essere autonomo e realizzarsi.

Eppure, pensando a come normalmente si parla di, e ci si rapporta a questi (i NEET sì, proprio loro) l'immagine che mi suggerisce questa frase è quella di un vestito… vuoto! Come se fosse indossato da un fantasma.

Mi è subito venuto alla mente il racconto di Oscar Wilde “Il Fantasma di Canterville”. Rileggendolo mi è parso stesse parlando proprio di quanto stiamo facendo.

 

LA MACCHIA

Il racconto inizia con l'acquisto da parte di una facoltosa famiglia americana di un Castello in Inghilterra sicuramente infestato da un fantasma, come testimoniava l'indelebile macchia presente in biblioteca. Macchia del sangue di Lady Eleanore come specificato dalla Governante che aggiunge “La macchia di sangue è stata ammirata moltissimo da turisti e da altri, e non si può levare”.
Che questi siano “macchiati” da un “né-né” è già stato discusso ed è anche interessante che ci sia un fiorire di iniziative collegate a questo fenomeno che traggono, paradossalmente, la loro giustificazione proprio dal fatto che non si riesce ad agire, sul prodursi di questo fenomeno. E a bloccarlo.

Naturalmente la famiglia americana, da gente pratica, non si perde d'animo e subito utilizza quanto il meglio della tecnologia mette loro a disposizione “lo Smacchiatore Universale Pinkerton, e il detergente Paragon, la toglieranno in quattro e quattr'otto” esclama il Signor Washington, ottenendo il risultato sperato…fino al mattino successivo.

Suggerendomi che forse l'approccio da seguire va cercata altrove, non nell'ambito di quelle discipline che ora sono tanto invocate come panacea per il nostro sviluppo e che vanno sotto l'acronimo STEM: lo Smacchiatore Universale Pinkerton è quanto di più STEM[2] ci sia, chimica industriale!

 

LE COMPETENZE

Peraltro, il nostro Fantasma ad un certo punto si adegua e cede alla profferta di utilizzare il Lubrificante Tammany “Sole nascente” per ungere le proprie catene “prendendo ogni possibile precauzione per non essere veduto e udito”. Come fanno certi che si chiudono al computer nella loro stanza?

Li chiamiamo “ritirati sociali”. Che vuol dire che la tecnologia sanno usarla ma questa per paradosso ottiene l'effetto contrario ad un felice e prosperoso inserimento nella società.

Il Fantasma è stato capace di apprendere, si avvaleva inoltre di diversi volumi di antica cavalleria di cui era “amantissimo”, arricchendo così le sue competenze, che non sono certo poche: era esperto nel fare tamburellare la sua mano verdastra sul vetro della finestra della dispensa provocando tale spavento al maggiordomo che questi si era sparato; o nel lasciare l'impronta di cinque dita di fuoco sulla candida pelle del collo della bella Lady Stutfield che si era gettata infine nello stagno delle carpe.

Allo stesso modo Babacar, giovane senegalese incontrato in occasione del corso fatto a giovani adulti in transizione anni fa si e no diciottenne, ci raccontò che guidava la barca da pesca al largo, là dove c'era il pesce. “E come fai a sapere dov'è il pesce?” “il colore del mare (l'oceano Atlantico) è diverso” rispose con naturalezza.

O come Ahmad, giovane arabo, che improvvisò su di me una canzone rap (provate voi!), genere musicale che gli era congeniale esibendosi con un suo complessino.

Non abbiamo quindi a che fare con giovani senza competenze.

Se il possedere competenze accomuna Fantasma e GAT per una cosa differiscono: mentre per il Fantasma “quella delle apparizioni spettrali…non ricadeva sotto il suo volere…” e appartiene alla sfera del soprannaturale, essere GAT è il frutto di un processo sociale dei nostri giorni. A cui si può mettere mano e determinare un punto di svolta.

Allora i laboratori di falegnameria, quello di cucina cosa sono? Non servono certo a diventare cuochi o falegnami, sono un'occasione. Per usare una conoscenza che spero tutti abbiamo, avete presente una cipolla? Tolta la pelle o buccia esterna, quella secca, ci resta la cipolla con i suoi strati freschi: ogni strato è avvolto da una pellicina. Questa pellicina è un ottimo rimedio per fare guarire i piccoli tagli o le abrasioni: stendendola sulla ferita, oltre ad avere un piccolo effetto disinfettante, fornisce il substrato, la trama, su cui il nostro organismo ricostruisce le cellule.

Utilizzando un paragone più STEM possiamo dire che queste attività, come le altre, consentono di fare come quando il computer si “impalla”: gli facciamo fare di nuovo il bootstrap[3], facciamo rieseguire al computer le operazioni base di riattivazione delle sue risorse.

 

BOOTSTRAP

Il Fantasma è tutt'altro che un buon selvaggio, come i nostri giovani, ed è inescusabile: ha ucciso la moglie per un futile motivo e ruba i colori di Virginia per cercare di rinfrescare la macchia di sangue in biblioteca. E ha un desiderio, che non riesce a realizzare: dormire, avere un posto dove dormire, tornare in pace. Morendo a sé stesso il Fantasma chiude il ciclo e il libro finisce.

Ma cos'è che determina il punto di svolta, il cambiamento? Non una nuova competenza, ma un incontro: Virginia vede il Fantasma, lo riconosce, gli rivolge la parola, si guardano, dialogano e Virginia non nasconde una sua “dolce gravità puritana” così come il Fantasma non esita a far valere le sue ragioni “è assurdo chiedere a me di comportarmi bene, del tutto assurdo. Devo far risuonare le mie catene, e gemere attraverso i buchi delle serrature, e vagare di notte, se è questo che vuoi dire. È la mia unica ragion d'essere” che possiamo anche tradurre, interpretando, con un “dimmi come altro posso fare” e non accettarmi come sono.

Ci vuole un'occasione educativa, un'occasione di “trarsi fuori da”, di riorganizzare la tensione verso una meta[4]. Il progetto è stato infatti presentato con questa domanda “Ti piacerebbe avere un'opportunità per rimetterti in gioco?” e come “una possibilità di crescita personale”.

Allora l'immagine del tirarsi su prendendosi per le stringhe degli stivali allude proprio al riconoscersi delle risorse (competenze, valori, appartenenza, desideri,) e il progetto è il contesto che te le riconosce e fa da tessuto connettivo: la pellicina di cipolla.

La cipolla è un cibo per poveri, il modo di dire “mangiare pane e cipolla”[5] rimanda all'idea di una vita in cui si patisce la fame.

L'immagine del bootstrap attribuita, anche, al Barone di Münchhausen è una cosa fisicamente impossibile, folle.

Ma è stato proprio un personaggio molto STEM, Steve Jobs, cofondatore della Apple, a invitare, in un ormai famoso discorso, a restare affamati e folli: “stay hungry, stay foolish”.

Un'altra educazione è possibile! Tu, lettore, che ne pensi?

membro del Comitato Tecnico Scientifico del progetto

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[1] Una delle attività laboratoriali ha come titolo “Outdoor Adventure”

[2] L'acronimo STEM, dall'inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics, è un termine utilizzato per indicare le discipline scientifico-tecnologiche (scienza, tecnologia, ingegneria e matematica)

[3] tirati su da solo prendendoti per le stringhe degli stivali. In Treccani: Termine impiegato con diversi significati nel linguaggio scientifico e tecnico, sempre con riferimento a processi o fenomeni che traggono sostentamento o alimento da sé stessi: …omissis … in informatica, la procedura con la quale, all'accensione, un calcolatore carica da una delle memorie il sistema operativo, mettendosi quindi da solo in grado di operare.

[4] Uno dei laboratori, guarda caso, è quello di rugby

[5] In dizionari.corriere.it/dizionario-modi-di-dire/P/pane.shtml: avere pochissime esigenze o pochissimo denaro per soddisfarle; in ogni caso accontentarsi del minimo indispensabile alla sopravvivenza. Anche essere molto poveri, non avere altro da mangiare che alimenti poco costosi come il pane e le cipolle. Il detto non ha la connotazione di sofferenza comunemente legata alla povertà, e si usa piuttosto per una scelta di vita che induce a rinunciare ai beni materiali piuttosto che a quelli spirituali considerati di maggior valore, spesso la libertà, l'indipendenza e simili.