Riproponiamo, adattato per le pagine del blog, un recente articolo di Elena Malaguti, Professoressa ordinaria di Didattica e Pedagogia Speciale al Dipartimento di Scienze dell' «G. M. Bertin» dell‘ Università di Bologna, uscito su “L'integrazione scolastica e sociale” (Vol. 22, n. 1, febbraio 2023) dal titolo “Quasi Adatti? Equità, , Inclusione e Resilienza. Approccio multisistemico, socio-ecologico nella ricerca nel campo della Pedagogia Speciale e Didattica Speciale”. L'articolo completo è reperibile in open access.

Sebbene di interesse specialistico, le riflessioni conducono un pubblico più ampio verso le potenzialità radicali dell'approccio ecologico sociale e umano nell'attivazione di processi inclusivi e nell'orientare l'azione educativa comunitaria. La sintesi dell'articolo è stata curata da Francesca Pistone, collaboratrice dell'Istituzione Gian Franco Minguzzi.

 

Per me siete tutti uguali.
No. La va celebrata e nominata bene.
Qualcuno potrebbe dire:
«ma c'è bisogno di nominare ogni cosa?».
Sì, perché noi esseri umani abbiamo bisogno
di nominare la realtà per poterla rendere
raccontabile, per poterne parlare.
(Gheno, 2022)

Introduzione

La parola «inclusione» è, attualmente, una costante nel linguaggio quotidiano. A voler osservare con cura ed essere precisi, è divenuta così popolare che può essere utile chiarire la struttura di senso che la caratterizza e le potenzialità che può esprimere.

Considerando gli eventi recenti, dalla pandemia sino al conflitto in corso in Ucraina, dalle crisi climatiche al recente terremoto avvenuto in Turchia e Siria, e i molti altri citabili si può affermare che essi mostrano, ancora una volta, quanto i fenomeni educativi, politici, sociali, culturali ed economici siano interconnessi. Tale condizione mette in evidenza l'impatto generalizzato (con gradienti e intensità differenti) che fenomeni apparentemente «distanti» esercitano sulla vita lavorativa e personale di popolazioni, anche fisicamente lontani dai luoghi dove i fenomeni in questione hanno luogo. Di fronte a questa rete di relazioni, sempre più ampia, è richiesta una capacità di orientamento che sappia attingere a conoscenze diverse, per comprendere evoluzioni di scenari impensabili anche soltanto un decennio fa e formulare proposte comuni.

L'attenzione ai processi, ai cambiamenti locali, nazionali e internazionali è una dimensione che attraversa da sempre gli studi nel settore della Pedagogia Speciale e Didattica Speciale (Canevaro, 1985). Si ritiene, dunque, che un chiarimento sul piano concettuale e semantico sia fondamentale non solo, per il profilo epistemologico degli studi nel settore della Pedagogia Speciale ma anche per tendere a costruire contesti equi, inclusivi, solidali e sostenibili.

 

Complessità non significa complicato

Il libro dal titolo Adattarsi della scrittrice Clara Dupont-Monod ha un incipit molto interessante: «Un giorno in una famiglia, nacque un figlio inadatto». Nonostante la sua bruttezza un po' umiliante, questa parola potrebbe tuttavia descrivere la realtà di un corpo molle, di uno sguardo mobile e vuoto. «Difettoso» sarebbe fuori luogo, «incompiuto» anche, perché queste categorie fanno pensare a un oggetto fuori uso, da buttare. «Inadatto» presuppone precisamente che il bambino esisteva al di fuori del quadro funzionale (una mano serve ad afferrare, delle gambe a camminare) e che stava comunque ai margini delle altre vite, non completamente integrato con queste, ma prendendovi nonostante tutto parte, come l'ombra all'angolo di un quadro, allo stesso tempo intrusa eppure voluta del pittore» (Dupont-Monod, p. 9). La vicenda narrata in questo libro riguarda la nascita di un bambino, bello e sorridente, che si scoprirà essere persona con una disabilità molto complessa. Questo evento scuote gli equilibri di una famiglia della montagna francese ridisegnando anche il destino dei due fratelli. Il modo in cui l'autrice narra la vicenda è tale per cui il lettore riesce a percepire le differenze, la che l'impatto nella nascita produce all'interno della famiglia e di permettere al lettore di leggere il contesto come un testo: il segno, la parola prende significato perché è inserita in un ambiente che interagisce e costruisce il tessuto narrativo all'interno del quale è possibile collocare l'esperienza. Nell'incipit del libro, si può notare come, nel disegno predisposto dall'artista, si ammette che colui che è al margine di altre vite possa rientrare a pieno titolo all'interno del quadro. Un'immagine questa che introduce l'intreccio fra i binomi esclusione/inclusione, /differenza, disparità/equità che rispecchiano evoluzioni culturali e semantiche che caratterizzano la società contemporanea. Volendo domandarsi in che modo sia possibile sostenere il processo di insegnamento-apprendimento anche di colui che è pensato e considerato con pochi margini di autonomie e di possibilità, o di coloro che si ritirano e non partecipano, o di coloro che seppur con profili di funzionamento molto elevati si percepiscono inadatti, si potrebbe orientare l'agire educativo in modo intenzionale facendo ricorso alla storia, alle storie di vita, ai processi culturali, sociali, educativi che animano gli studi nel campo della Pedagogia Speciale da oltre 40 anni e non solo in Italia.

 

Ecosistema e resilienza

Vi sono molteplici aspetti che collegano l'ecologia, con la resilienza, con le interconnessioni fra esseri umani e ambiente. L'approccio ecologico in campo educativo, si inserisce nel paradigma della complessità ed è inteso come un processo che considera, cerca di padroneggiare e di gestire i continui cambiamenti in atto e il flusso comunicativo discontinuo, disomogeneo a volte confuso. Tale prospettiva comporta lo spostamento da un'idea di stabilità, fissità, rigidità dei sistemi, a un'idea di mutamento, sottesa all'approccio ai sistemi complessi. Il nostro organismo ha bisogno di uno strumento regolatore del rapporto con l'ambiente. E questo strumento può essere in rapporto al contesto immediato, ossia a quello che Bronfenbrenner chiama microsistema (relazioni interpersonali, familiari, amicali) oppure rapportarsi a un contesto più complesso nel tempo e nello spazio, il mesosistema (la , il quartiere, il mondo del lavoro) e l'esosistema (le città, i territori più o meno vicini) (Bronfenbrenner, 1986, p. 37), in cui eventi che condizionano un individuo non sono necessariamente quelli con cui entra in contatto. Questi strumenti regolatori del rapporto individuo-ambiente costituiscono la e il linguaggio. Vi è una parentela e una continuità tra strumenti comunicativi e strumenti linguistici ma non vi è identità. Vi è una differenza fra linguaggi non verbali e non verbale. Questa distinzione è interessante per chi opera nel settore dell' speciale ed è utile considerare la continuità fra e linguaggio, sempre assunti come strumenti di regolazione nel rapporto con l'ambiente, o meglio con i differenti modi di considerare l'ambiente e le relazioni che al suo interno si instaurano. Il fisico teorico Carlo Rovelli (2020) in un volume dal titolo Helgoland spiega che quello che la teoria dei quanti descrive è il modo in cui una parte della natura si manifesta a un'altra parte della natura. Il cuore dell'interpretazione «relazionale» della teoria dei quanti (Rovelli, 2020, p. 84) è l'idea che la teoria non descriva il modo in cui gli oggetti quantistici si manifestano a noi (o a speciali entità che osservano). Essa descrive come qualunque oggetto fisico si manifesti a qualunque altro oggetto fisico. E come qualunque oggetto fisico agisca su qualunque altro oggetto fisico. Gli oggetti, che nel gergo fisico vengono chiamati «sistemi fisici», non stanno ciascuno in sdegnosa solitudine. Al contrario, gli oggetti (persone, paese, arcobaleno, albero, ammasso di galassie, ecc.) interagiscono uno sull'altro. Per comprendere la natura occorre guardare queste interazioni e non gli oggetti isolati. Provando a traslare dalla fisica si può affermare che la crescita degli esseri umani non può essere isolata dai contesti in cui sviluppa e non si riduce a un processo adattivo a un contesto precostituito, rigido e inflessibile. Le neuroscienze contemporanee permettono oggi di sostanziare tale affermazione. Lo sviluppo del cervello, infatti, è in gran parte un processo che dipende dall'esperienza, sia in termini positivi che negativi (Oliviero, 2017). Secondo il principio della plasticità neuronale, il cervello modifica la sua struttura sulla base degli stimoli ambientali: sono infatti le esperienze ambientali e interpersonali che modificano le nostre strutture cerebrali. In campo educativo, è quindi essenziale strutturare contesti e opportunità di apprendimento che generino interesse, curiosità e , in ambienti eterogenei ma nel rispetto delle peculiarità di ciascuno. Questo significa non pensarsi monadi ma esseri in relazione e che solo all'interno di una trama comune e di un orizzonte di senso condiviso è possibile costruire un processo educativo. Volendo circostanziare tale affermazione, si prendano in esame tre scenari apparentemente distanti ma che possono aiutare a comprendere, da un punto di vista fenomenologico, tale affermazione.

Nel primo scenario abbiamo un giovane sordo di origine ucraina, che ha studiato in una specifica per persone sorde nel suo paese dove ha acquisito ottime competenze, a causa della guerra si ritrova improvvisamente in un paese straniero dove si parla un'altra lingua. Se non trova un luogo capace di accoglierlo, di riconoscere le sue competenze, di creargli attorno una rete di relazioni significative che l'accompagnino a trovare un progetto di vita sostenibile (amici, lavoro, perfezionamento degli studi, ecc.) rischia di ritrovarsi completamente solo e di non essere compreso anche a causa dell'incapacità di molte persone di comunicare e di comprenderlo. Può accadere, dunque, che le circostanze sociali del dopo evento traumatico, inibiscano l'efficacia di ciò che può tutelare il processo di resilienza. Si può innescare una dinamica involutiva, di desilience, di disinvestimento là dove si sono persi la cornice di riferimento, l'orizzonte all'interno del quale situare la propria esistenza. Esiste anche una dimensione etica della resilienza. Quando si desidera accompagnare bambini e giovani durante la crescita, quando si esercitano professioni educative può essere utile fermarsi e riflettere.

Nel secondo scenario una bambina quasi adolescente che è cresciuta in una famiglia capace di offrirle molte opportunità affettive, relazionali, che vive in una città ricca di occasioni educative, sociali e culturali (, associazioni sportive, culturali, ecc.) assiste, improvvisamente, alla morte di uno dei suoi due genitori. Nel giro di solo 40 giorni, per causa di forze maggiori, si trasferisce con il genitore sopravvissuto in un'altra città, lascia il suo tessuto sociale e affettivo, non ha parenti o amici che la visitano o la chiamano, inizia una nuova . Il comportamento manifesto è quello di una giovane apparentemente diligente, capace, attiva ma riservata e molto selettiva nelle relazioni. Lo shock traumatico che ha vissuto le ha causato alcuni sintomi psicosomatici (difficoltà di addormentamento, fatica a svolgere in modo continuativo un'attività sportiva, mal di testa frequenti, ansia per i luoghi e le situazioni improvvise e sconosciute). È accompagnata prima da uno specialista poi da un altro, ma non si sente compresa e, essendo molto diffidente, orgogliosa («riesco da sola») e incapace di raccontare il suo mondo interiore, non riesce a creare un legame stabile con nessuno.
Nel frattempo, arriva la pandemia. Il mondo si ferma e i pochi legami che era riuscita a costruire con coetanei si interrompono.

Il genitore che vive con lei non ha trovato adulti disponibili ad allearsi che svolgessero una funzione protettiva, nemmeno i familiari più stretti sono presenti. La giovane continua a studiare. Inizia la nuova , è contenta, riesce a trovare un gruppo di amici, ha buoni risultati scolastici. Durante il secondo semestre dello stesso anno, arriva il secondo lockdown. L'approccio didattico utilizzato è di tipo tradizionale, rispetto a molti contenuti disciplinari sono gli allievi a dover in autonomia comprendere senza spiegazioni. Il corpo docente non ha competenze relazionali, lo scambio comunicativo che passa agli allievi è di tipo univoco: la responsabilità del successo o insuccesso degli allievi è solo individuale e, quindi, chi non riesce è perché non si applica e di conseguenza deve essere respinto. La giovane molto arrabbiata e delusa dal trattamento ingiusto e sfidante dei professori decide di cambiare scuola solo l'anno successivo e verso fine anno. Intraprende un nuovo percorso ma posta di fronte alle medesime modalità didattiche, comincia ad accusare sintomi psicosomatici sempre più forti, si abbassa il livello di motivazione allo studio, comincia a credere di non essere all'altezza, di avere un problema serio, di soffrire di qualche disturbo che le impedisce di andare bene a scuola e si chiude sempre di più sentendosi inadatta. L'unico suggerimento ricevuto dal mondo della scuola è di inserirla in una scuola più facile. Tale invito stimola il collegamento con il romanzo scritto da Peter Høeg (1997) nel libro da lui intitolato I quasi adatti. Nell'analisi retrospettiva del proprio passato di «quasi adatto» in una scuola sperimentale di Copenaghen che si occupa di adolescenti difficili, si può cogliere la sofferenza dell'autore per l'emarginazione subita, per la fatica di dover sottostare a un ordine e a delle regole imposte e incomprensibili.

Infine, in un terzo scenario una bambina di quattro anni figlia unica, molto vivace, assetata di conoscenze, di stimoli, molto curiosa con un linguaggio molto fluido e molto veloce negli apprendimenti crea qualche sospetto alle insegnanti della scuola dell'infanzia perché finisce subito l'attività assegnata, ne richiede immediatamente altre, si relaziona preferibilmente con compagni più grandi e il suo comportamento, in generale non corrisponde a quello della dei coetanei. Lo specialista dopo un'attenta indagine comunica che la bambina ha un QI elevatissimo e rientra nella categoria dei bambini ad alto potenziale cognitivo. Il suggerimento dello specialista è quello di anticipare l'ingresso alla scuola elementare. Tale indicazione ha creato non poche difficoltà ai genitori e anche all'istituzione scolastica perché non è lecito anticipare l'ingresso in prima elementare. Una delle principali caratteristiche dei bambini definiti gifted o che hanno un modo diverso di pensare (different thinkers) è una performance superiore rispetto ai pari in test cognitivi e misurazione della creatività. L'intelligenza è dunque un costrutto sociale in cui la genetica propone, l'epigenetica dispone. È l'insieme di stimoli e di sollecitazioni adeguate ricevute dall'ambiente a fare la differenza. Non solo a casa e in famiglia, ma anzi soprattutto a scuola.

Questi scenari restituiscono situazioni molto specifiche e differenti le une dalle altre. Hanno in comune, però, la medesima richiesta: aiutatemi a crescere, a partecipare, a non fallire e a non sentirmi sempre inadeguato/a e solo/a di fronte alle sfide che mi si pongono. Sia che la richiesta venga esplicitata direttamente dai bambini e dai giovani sia rimanga implicita, il desiderio di sentirsi riconosciuto, stimato, valorizzato e accompagnato a crescere non cambia. Le richieste dei genitori sono le medesime. Cambiano però le loro risposte. Di fronte alle difficoltà dei bambini e dei ragazzi le azioni messe in campo dagli insegnanti e dai genitori sono molteplici e non possono essere ricondotte a un'unica modalità anche perché non sono presenti esiti di ricerca su questo aspetto e si rischierebbero analisi non puntuali. L'aumento esponenziale delle diagnosi, come risulta dall'ufficio di statistica del Ministero dell'Istruzione (MIUR, 2022), sembrerebbe, però, indicare che di fronte alle difficoltà si ricorre allo specialista per poter attestare, con un certificato, la condizione specifica e avviare misure dispensative, compensative o per assegnare ore di sostegno e di educatore. Le continue richieste di interventi formativi (soprattutto dopo la pandemia) mirati a gestire i bambini «difficili», anche molto piccoli, da parte degli insegnanti e dei coordinatori pedagogici, evidenziano sempre più spesso l'assunzione di un atteggiamento che delega, al solo insegnante di sostegno e allo specialista, la definizione del progetto e del percorso mirato di insegnamento-apprendimento e specifico per quell'allievo/a con forti elementi di disancoraggio dal contesto educativo allargato. Questa realtà sta creando non poche difficoltà di gestione complessiva dei processi educativi e formativi anche rispetto alla sostenibilità sociale ed economica. Sempre con maggiore forza, molti genitori ritengono che il contesto educativo non sia in grado di rispondere con competenza alle istanze specifiche del proprio figlio e molti insegnanti di non possedere competenze utili a svolgere in modo soddisfacente il loro lavoro.

Gli scenari presentati hanno in comune un'altra caratteristica riscontrabile sempre più frequentemente. Di fronte a una difficoltà di apprendimento – adattamento – al contesto educativo o scolastico la risposta è sempre centrata sul singolo a cui si attribuiscono le responsabilità (fragilità emotiva, disturbo specifico di apprendimento, condizione di disabilità, problemi familiari, ecc.) del non adattamento. La risposta fino ad oggi individuata è quella di introdurre una figura specializzata (insegnante o educatore) o, in presenza di disturbi specifici di apprendimento, si suggeriscono strategie compensative o dispensative riferite, a volte, anche a quadri non specificati che vengono inseriti all'interno di coloro che presentano bisogni educativi speciali (BES). L'introduzione di un modello bio-psico-sociale alla lettura del profilo di funzionamento individuale a cui deve conseguire un Progetto Educativo Individualizzato (PEI) o Piano Didattico Personalizzato (PDP) è sicuramente una strategia fondamentale nel tentativo di sottolineare l'importanza di un approccio che tenga conto degli elementi di contesto in termini di barriere e facilitatori cercando di connettere, quindi, fattori individuali con quelli contestuali. Rispondere in modo individuale senza una conseguente riorganizzazione dell'intera comunità scolastica attraverso una riforma completa espone però a seri rischi. Fedeli e collaboratori (2022, p. 49) sottolineano che il focus su facilitatori e barriere, anche e soprattutto ai fini dell'elaborazione del Piano Educativo Individualizzato, è sicuramente un'opportunità ma anche un possibile rischio: da un lato, infatti, consente di effettuare una progettazione mirata proprio su quei fattori individuali e contestuali che possono agire da mediatori tra l'intervento educativo e gli esiti attesi. Al contempo, però, un approccio di questo tipo rischia di essere riduttivo, nel momento in cui si limitasse a un elenco di barriere e facilitatori, intesi quali fattori rigidi, fissi e precostituiti, oppure nel momento in cui si considerasse un'unica dimensione (la più evidente è quella dei facilitatori e delle barriere fisiche e architettoniche), senza ampliare l'analisi ai molteplici fattori individuali, relazionali, ecc. (Purdue, 2009; Kraus de Camargo et al., 2019).

I dati relativi ai risultati dell'Invalsi 2022 indicano che la dispersione scolastica totale è aumentata notevolmente. Se si analizzano complessivamente i dati emerge che il 23% dei giovani della fascia d'età 18-24 anni ha lasciato la scuola prima di effettuare l'esame di Stato, oppure l'ha terminata senza acquisire competenze di base minime. La dispersione scolastica con diversi gradi di incidenza investe tutto il panorama europeo rappresenta un fenomeno, serio, attraverso cui analizzare e comprendere il grado di efficacia dei sistemi educativi scolastici. Fanno parte di tale fenomeno gli studenti che formalmente abbandonano la scuola, coloro che non sono stati ammessi all'anno scolastico successivo e gli alunni regolarmente iscritti ma non frequentanti. L'andamento nel tempo sulla dispersione implicita nelle regioni del Nord Italia in un arco temporale compreso fra il 2019 e il 2021 è aumentata. La italiana dal 7% si è alzata al 9,5%. In Emilia-Romagna, ad esempio, si eleva dal 2,4 % al 4,2%. Crescono anche le differenze territoriali della percentuale di dispersione implicita, con un valore che parte da 2,6% per il Nord, raggiunge l'8,8% al Centro fino ad arrivare al 14,8% nel Mezzogiorno, 12,2 punti in più rispetto alle regioni del Nord Italia (https://www.invalsiopen.it/risultati/ risultati-prove-invalsi-2021/dispersione-scolastica-italia/).

La parola «indicatore» si riferisce a un modo di segnalare qualche cosa. In che modo interrogare i dati? Che cosa pensare dei circa 100.000 giovani che non frequentano la scuola seppur iscritti? Come gestire le continue richieste di intervento specialistico e il ricorso alle diagnosi quale strumento di tutela del diritto all'educabilità del proprio figlio/a? Come sostenere i genitori di bambini ancora piccoli che cercano risposte e non sanno dove orientarsi? Le evidenze basate sull'esperienza forse svelano che l'organizzazione fa fatica a trasformarsi perché questi principi non sono stati recepiti o non sono effettivamente condivisi? Non sono messi in pratica perché predomina l'era del singolo (Rigotti, 2021)? Forse i dati indicano che sono ancora molto presenti proposte educative dove i bambini e i giovani sono chiamati a rispondere non solo alla stessa proposta ma anche nello stesso modo e secondo la logica del migliore e peggiore, sano/ malato, disabile/abile, BES e non secondo una prospettiva di senso, comune, di gruppo, di squadra, che innalzi il livello di motivazione, di passione, di curiosità, di anche di coloro che vivono condizioni peculiari? Forse noi adulti non siamo capaci di fornire proposte che permettano a ciascuno, proprio così come è – con le sue differenze e – di impegnarsi con responsabilità all'interno di un contesto che si assume il compito e li coinvolge attivamente per costruire processi di di qualità?

Gli studi nel campo della salute mentale dimostrano, in modo inequivocabile, che il processo di resilienza dipende da influenze multisistemiche e multifattoriali. Masten e Cicchetti (2016) in un lavoro di revisione completo indicano che la resilienza di un bambino e adolescente, è correlata con le interazioni fra sistemi (individuali, famigliari, sociali, culturali, educativi) all'interno dei quali si trova inserito. Inoltre, sostengono che anche rispetto all'età adulta e senile il processo di resilienza dipende da come i sistemi si influenzano e si connettono fra di loro. Questi recenti studi confutano la definizione di resilienza quale capacità di adattamento. Recenti studi concordano nel definirla come un processo interdipendente fra molteplici fattori e in chiave socio-ecologica. Il successo formativo non corrisponde solo alla possibilità di osservare il particolare profilo di funzionamento del bambino nei contesti (approccio bio-psico-sociale) al fine di comprendere quali facilitatori introdurre per migliorare il suo adattamento al contesto. Il costrutto socio-ecologico e multisistemico considera l'interazione dei sistemi fra di loro, ovvero, le relazioni che si instaurano fra la persona e gli ambienti che frequenta e il modo in cui vengono organizzati e progettati i percorsi educativi e formativi. L'analisi delle ricerche in corso, dunque, mostrano che la resilienza corrisponde a un processo dinamico e interconnesso fra molteplici sistemi: biologici, psicologici, sociali ed ecologici che interagiscono positivamente fra di loro al fine di aiutare, accompagnare le persone a riconquistare, sostenere o migliorare, il proprio benessere mentale quando sono stati messi alla prova da uno o più fattori di rischio. Studi in campi diversi come la genetica, la psicologia, le scienze politiche, l'architettura e l'ecologia umana stanno dimostrando che la resilienza dipende tanto dalle risorse culturalmente rilevanti disponibili che fra loro interagiscono con obiettivi comuni, quanto dalle emozioni, pensieri, sentimenti e comportamenti individuali.

Non si tratta, quindi, solo di riconoscere le condizioni svantaggiate in partenza per poi analizzare gli stili e le strategie didattiche utilizzate dai docenti o i livelli individuali di self-efficacy, per comprendere in che modo studenti svantaggiati sono riusciti a ottenere il successo scolastico. In ambito educativo e formativo se si vuole indagare il successo formativo sarebbe opportuno correlare (almeno dal punto di vista di coloro che operano nel settore della Pedagogia Speciale e Didattica Speciale o che si occupano di salute mentale e benessere dei bambini e degli adolescenti e intendono promuovere un progetto di vita) cinque piani interconnessi: il benessere, la salute mentale individuale e del gruppo; la al processo educativo e formativo (motivazioni, interessi, preferenze, scelte, livelli di agency, di advocacy, autodeterminazione); le conoscenze culturali che possono trasformarsi in competenze; gli adulti di riferimento (competenze emotivo-relazionali, metodologiche didattiche, culturali, livelli di motivazione e di al processo educativo, le relazioni che si instaurano fra docenti e educatori); flessibilità del curriculo e l'intreccio con i percorsi di orientamento e al lavoro.

L'azione di centrare il focus, l'oggetto epistemologico, sul processo di sviluppo degli apprendimenti, sulle relazioni che si instaurano fra persona e contesti di riferimento, ha costituito uno degli elementi fondanti della corrente umanistica della Pedagogia Speciale orientata a comprendere i processi evolutivi e il loro dispiegarsi nella vita delle persone, in quella delle famiglie, nella società e nella scuola nonostante la presenza di condizioni di vita complesse con margini di autonomia individuale, anche minimi. Questo posizionamento dello sguardo sulle potenzialità del soggetto, interconnesso con le relazioni che si instaurano nei contesti di vita, pensato come attore-autore nel processo di apprendimento e di sviluppo, si è costruito progressivamente, e continua a costruirsi, negli ultimi due secoli. Si tratta di quello che la ricerca contemporanea definisce resilienza su base socio-ecologica in campo educativo (Cyrulnik e Malaguti, 2005; Rutter, 2012; Goussot, 2013; Ungar, 2012; 2019).

Il concetto di resilienza, quale costrutto plastico, è uno degli organizzatori chiave, insieme a quelli di qualità di vita e benessere per costruire un disegno comune volto a promuovere equità umana, sociale, economica e ambientale. L'approccio ecologico sociale e umano, o ecosistemico, si pone al crocevia fra un modello individuale e uno sociale, promuove resilienza e, attraverso l'analisi delle interazioni fra diverse dimensioni, propone di leggere la condizione delle persone non solo secondo l'ottica della salute, ma anche dell', sociale, culturale e contestuale. Canevaro (2006) definisce coevoluzione un processo che determina la qualità reciproca degli apprendimenti e dell'integrazione. Diviene necessario aiutare e aiutarsi a co-evolvere, a crescere insieme nelle situazioni, per attivare un processo di trasformazione e di rispetto.

 

Esclusione – Inclusione – Equità

Il mondo è profondamente cambiato e insieme a lui anche le persone che vi abitano e gli ambienti naturali. Questo è il primo aspetto che occorre tenere presente quando si predispongono azioni di ricerca, programmi di prevenzione, educativi, formativi o di promozione della qualità di vita. Secondo gli studi di Andrea Canevaro (2013, p. 183): «la Pedagogia Speciale deve tener conto che è nella storia. In questa storia. Pedagogia Speciale non può chiudersi alla storia cercando di riferirsi unicamente alle caratteristiche delle disabilità che incontra; e neppure può ritenere di dover riferirsi unicamente alle disposizioni legislative istituzionali con cui le persone con disabilità devono fare i conti. Pedagogia Speciale deve essere attuale nella storicità in cui è immersa, per guardare al futuro».

Il ruolo dell', quale atto intenzionale e rispettoso, nei confronti di sé stessi e degli altri, diviene fondamentale e può essere inteso come uno degli anelli di congiunzione fra i sistemi umani e ambientali per promuovere sviluppo. La Pedagogia Speciale e la promozione della resilienza secondo un modello ecologico e sociale intrecciano le dimensioni della pedagogia generale e della didattica generale in modo intenzionale.

La qualità dell' e dell'organizzazione dei contesti educativi e scolastici, l'innovazione dei dispositivi pedagogici e didattici è strettamente correlata con la possibilità di promuovere resilienza. Offrire dimensioni ordinarie, qualitativamente ricche di significato, nella vita quotidiana (frequentare la scuola, avere amici, andare a lavorare, partecipare a eventi culturali, imparare a progettare il futuro, acquisire competenze e conoscenze, vivere esperienze anche semplici ma soddisfacenti insieme agli altri, costruire momenti intimi ecc.) permette a chi ha subito eventi di natura traumatica, chi vive condizioni di vulnerabilità, di disabilità, di essere accompagnato/a ad assumere un ruolo attivo per non circoscriversi solo nella condizione di vittima o di ferito, ma di poter sperimentare altre dimensioni della sua personalità provando ad autodeterminarsi. Nel medesimo tempo l'educazione inclusiva interviene anche in modo puntuale e mirato, in presenza di condizioni peculiari, per rispondere con competenza, attraverso l'ausilio di mediatori specifici che si muovono nella logica della progettazione universale dell'apprendimento (Universal Design for Learning) quale azione per promuovere processi di reale e apprendimento. Questo approccio, olistico, globale e ancora innovativo, almeno da un punto di vista operativo, costituisce una sfida creativa ed etica a ogni designer, progettista, imprenditore, amministratore pubblico e leader politico che intenda rispettare le indicazioni internazionali.

La progettazione universale non esclude dispositivi di ausilio per particolari gruppi di persone con disabilità, ove siano necessari, ma propone un paradigma che deriva dall'incrocio tra un design accessibile, l'abbattimento delle barriere e l'utilizzo di tecnologie assistive. Il concetto di progettazione accessibile che ha caratterizzato il secolo scorso, e in molti luoghi lo caratterizza ancora oggi, si è basato sul costrutto di integrazione e sul diritto di accessibilità per le persone con disabilità. Secondo le indicazioni contemporanee, dovrebbe orientarsi a una progettazione estesa, non adattata ad hoc solo per alcuni soggetti, ma concepita fin dall'inizio per essere accessibile a tutti, comprese le persone con disabilità complessa.

Nel momento in cui però si deve procedere con azioni concrete pare che i principi enunciati vengano disconfermati di fronte a un'organizzazione che fa fatica a modificarsi anche perché non è così chiaro come in realtà si possa procedere per centrare l'obiettivo (Cottini, 2022).

In questo nuovo quadro, dove la diversità è vista come un'unicità dell'individuo, l'approccio internazionale dell'Universal Design for Learning (CAST, 2011) ci aiuta ad assumere una postura professionale e personale capace di considerare gli esseri umani come persone con i propri bisogni educativi con desideri, interessi, preferenze che se coordinate e inserite all'interno di un disegno comune, permette di progettare contesti educativi e di apprendimento di qualità. La logica inclusiva implica cambiamenti radicali nella struttura organizzativa, didattica e educativa della scuola, in modo che ogni studente abbia accesso alla vita scolastica, sociale, culturale e lavorativa per realizzare un progetto di vita adeguato.

Non si tratta di operare per adattare la persona con disabilità unicamente al contesto ma anche di trasformare i contesti utilizzando mediatori specifici che permettano alla pluralità di soggetti e ai differenti sviluppi di partecipare e migliorare i propri apprendimenti (Canevaro e Malaguti, 2014).

Questo modo di rappresentare l'inclusione porta a una nuova visione del curricolo, che non è più descritto a livello «speciale» ma comune. L'obiettivo dell'inclusione è che tutti gli studenti condividano esperienze comuni, invece di costruire curricoli speciali; ciò significa che è necessario lavorare e modificare il curricolo generale, diffondendolo e differenziandolo il più possibile (Dovigo, 2014). Questo è possibile a livello di macroprogettazione, pensando fin dall'inizio a strategie inclusive e metodologie didattiche da attuare nella vita quotidiana (per promuovere l'apprendimento cognitivo, affettivo e sociale). La riflessione si sposta sulla microprogettazione, dove insegnanti curricolari e specializzati dovrebbero lavorare fianco a fianco per contribuire, ognuno con le proprie capacità, a predisporre percorsi ricchi e articolati, in modo che ogni studente possa partecipare.

Nonostante 25 anni di dibattito internazionale, il consenso sull'educazione inclusiva rimane sfuggente (Ainscow, 2020). A livello internazionale, è sempre più visto come un principio che sostiene e accoglie con favore la diversità fra tutti i cittadini e non è solo riferito a categorie specifiche (UNESCO, 2017).

Tale enfasi sull'equità è stata recentemente introdotta dal Quadro Istruzione 2030 per Action (UNESCO, 2015), che implica una preoccupazione per l'equità. Se da un lato, a livello internazionale, i principi e i valori risultano ampiamente riconosciuti, come testimonia la ratifica della Convenzione per i delle persone con disabilità (UN, 2006) da parte di quasi tutte le nazioni, dall'altro la loro attuazione si realizza in un clima di dibattito e contrasti anche accesi, che sfociano talvolta in un aperto inclusio-scetticismo che però non trova adeguate risposte a livello empirico (Ianes e Augello, 2019; Imray e Colley, 2017; Ianes e Dell'Anna, 2020).

Misurarsi con la parola «inclusione», decontestualizzata e dissociata dalle parti in causa, sganciata quindi dalla realtà che vivono le persone con disabilità, le loro famiglie e le relazioni che si instaurano all'interno dei contesti educativi, formativi, scolastici, sociali, comporta due rischi. Il primo è quello di banalizzarla, di generalizzarla, di svuotarla di significato (almeno rispetto al punto di vista degli studi che hanno caratterizzano la Pedagogia Speciale e la Didattica Speciale nel corso della sua storia fino ad oggi), scollegandola, dunque, dalla realtà e ponendo la ricerca e gli studi su di un binario parallelo rispetto a quello che le persone (bambin*, giovan*, famiglie, caregiver, insegnanti, educatori) vivono all'interno del contesto educativo, quindi destoricizzandola. Il secondo è quello di non riuscire a rispondere con competenza alle sfide che la società contemporanea impone e alle istanze che i territori pongono in termini di , equità, opportunità e partecipazione. Si è passati da un estremo in cui il suo studio riguardava solo pochi professionisti a un altro in cui il costrutto e analizzato da molti settori scientifici disciplinari ed è divenuto un termine utilizzato anche in ambito organizzativo, economico, politico, sociale, ambientale. La proposta è quella di costruire un quadro teorico secondo il quale il concetto di inclusione intrecci la dimensione del Progetto di Vita, del modello della qualità di vita, del benessere e della resilienza e non si riferisca, dunque solo all'ambito della scuola. Occorre costruire un'azione che permetta ai cittadini, di orientarsi rispetto ai cambiamenti in atto.

Siamo così sicuri che in Italia il processo di integrazione sia stato compreso e attuato? Ovvero che sia in grado di fornire competenze reali anche a chi vive per ragioni transitorie o permanenti delle condizioni di disabilità, eventi di natura traumatica, condizioni di fragilità emotiva e relazionale, o disturbi del neurosviluppo? Siamo sicuri di aver compreso di cosa stiamo parlando quando utilizziamo le parole «inclusione educativa», progetto di vita? Siamo sicuri di essere in grado di padroneggiare i cambiamenti costruendo un disegno comune che permetta a coloro che per varie ragioni vivono condizioni di difficoltà di sentirsi parte di un progetto comune che orienti il loro presente e futuro? Nell'ambito della ricerca, la retorica dell'inclusione come bene assoluto diviene barriera alla conoscenza e consente al sistema di costruire meccanismi di tutela da qualunque tentativo di studio, analisi e valutazione (Ianes e Dell'Anna, 2020).

Il riconoscimento reale del valore positivo delle differenze, inoltre, si deve riflettere, concretamente, nell'organizzazione dei contesti, dei contenuti pedagogici, delle metodologie e degli strumenti, anche di verifica e di valutazione. Infine, è indispensabile ripensare le organizzazioni, affinché i gruppi, storicamente a rischio di marginalità e di discriminazione, possano rappresentarsi nei processi decisionali.

 

Identità – Differenze – Diversità

Da un punto di vista storico, l'oggetto di studio della Pedagogia Speciale sono le differenze, le disparità, le diseguaglianze esistenti fra gli esseri umani in relazione ai loro contesti di appartenenza. Nello specifico della disciplina, storicamente, sono quelle dovute alla condizione di disabilità e di vulnerabilità, nell'interazione con i sistemi di riferimento, affettivi, relazionali, famigliari, sociali e culturali. Indagare le differenze, significa anche andare alla radice di esse.

La direzione da intraprendere è quella di assumere una prospettiva antropologico-culturale (Remotti, 2011) che permetta di riconoscere la diversità umana quale elemento positivo.

Pensare differentemente le condizioni di disabilità e di vulnerabilità richiede un'analisi degli approcci culturali alla base dei linguaggi e delle rappresentazioni che riflettono e una progettazione in tal senso. In tale prospettiva, i sistemi educativi e formativi hanno un impatto significativo nel favorire processi co-evolutivi di conoscenza e un decentramento cognitivo necessari allo sviluppo di un adeguato riconoscimento delle differenze umane.

Se si intende dare voce a chi rischia processi di esclusione educativa sociale e culturale, progettare rispettando le differenze e le condizioni peculiari, anche in presenza di bassi margini di autonomia individuale, occorre che la ricerca si impegni ad avviare sperimentazioni con i territori, insieme agli attori (insegnanti, educatori, genitori, ecc.) con il fine di restituire approcci in grado di orientare l'agire concreto nel rispetto di ciascuno ma all'interno di un disegno comune. Esso comporta un'assunzione di responsabilità da parte degli adulti di oggi, e di orientare l'agire su alcune direzioni intenzionali fondamentali.

  1. Promozione di programmi che intreccino il benessere, la resilienza su base ecologica e la progettazione universale per l'apprendimento (UDL) attraverso la definizione di un curriculum inclusivo, non solo riferite a singole unità di apprendimento ma di ripensamento della scuola e delle università in termini di equità, diversità, partecipazione.
  2. Riorganizzazione dei centri per l'impiego, della professionale in sinergia con le università e il mondo del lavoro secondo una prospettiva di sostenibilità economica e sociale.
  3. Promozione di percorsi interconnessi fra scuola e territori per la creazione di contesti di prossimità, di miglioramento della qualità delle relazioni sociali e l'avvio di programmi di partecipazione e di cittadinanza attiva anche con i giovani.
  4. Azioni di promozione del progetto di vita e di un abitare sociale.
  5. Ripensamento delle professioni in campo educativo e formativo anche in termini di valorizzazione del ruolo da un punto di vista sociale, culturale ed economico.

Il nodo centrale, nonostante i cambiamenti in atto, concerne sempre e però un'unica dimensione: la possibilità di vivere insieme nel rispetto e nel riconoscimento delle differenze all'interno di uno sfondo comune. Don Milani diceva che «la scuola ha un solo problema, i ragazzi che perde». Gianni Rodari (1973) che «occorre una grande fantasia, una forte immaginazione per essere un grande scienziato, per immaginare cose che non esistono ancora, per immaginare un mondo migliore di quello in cui viviamo e mettersi a lavorare per costruirlo!».

Elena Malaguti
Professoressa ordinaria di Didattica e Pedagogia Speciale – Università di Bologna

 

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Bibliografia

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