L'archivio di cui è titolare l'Azienda USL di Bologna, è conservato dall'Istituzione Gian Franco Minguzzi. Custodisce la documentazione amministrativa e sanitaria dell'ex Ospedale Psichiatrico Provinciale di Bologna che comprende fra l'altro circa 35.000 cartelle cliniche.  Abbiamo intervistato , archivista e ricercatore, curatore dell'archivio.

– Che tipologia di documenti possiamo trovare nell'archivio dell'ex Manicomio ?

Nell'archivio ci sono documenti cartacei che riguardano il settore amministrativo-gestionale dell'ospedale: registri d'ingresso, registri d'uscita, registri di acquisto di tutti i tipi di materiali, da quello medico-sanitario alla legna per l'inverno. C'è anche una parte di corrispondenza che riguarda la gestione del manicomio.

Abbiamo, inoltre, il settore delle cartelle cliniche che fa parte del complesso archivistico dell'Ospedale ed è materiale esclusivamente sanitario, organizzato in base all'uscita del paziente dall'ospedale. Per ogni ricovero le cartelle cliniche venivano compilate e, al momento dell'uscita, venivano inserite nell'archivio nella sequenza delle altre. Sono suddivise in quattro sottoserie che fanno in realtà blocco unico: uomini usciti, uomini morti, uscite, morte. È molto interessante perché, perlomeno per la parte più antica, sono conservate nei contenitori originali.

C'è una terza parte, un terzo settore, dell'archivio del che sono materiali più recenti riguardanti la riforma psichiatrica e archiviati ordinatamente negli ultimi anni grazie all'Istituzione G.F. Minguzzi. Si tratta di documenti relativi ai medici che lavorarono al con varie competenze oppure appartenenti ai direttori del manicomio. Sono materiali personali di questi psichiatri e autorità oppure carte di tipo sanitario, organizzativo e gestionale.

Nell'Archivio ci sono anche altri fondi secondari di grande interesse. Ad esempio quello relativo alla cosiddetta area autogestita. Si tratta di  videocassette realizzate durante la fase di chiusura dell'ospedale, in cui si cercava di aiutare gli ultimi pazienti a reinserirsi nella vita quotidiana. Nelle cassette si trovano delle interviste fatte a questi pazienti e ai loro familiari, proprio per cercare di favorire questo reinserimento. Sono state poi anche riversate su file e fanno parte di “Una città per gli ”, il progetto che due fondazioni portano avanti per digitalizzare la maggior parte degli cittadini.

Un altro fondo interessante è quello relativo ai materiali della “Scuola d'Arte”, un laboratorio artistico-espressivo interno al manicomio. Conserviamo circa 1500 disegni ed altri manufatti realizzati dai pazienti ricoverati.

– Da quando vengono conservate le cartelle?

Le cartelle più antiche partono dal 1810, quando ancora il manicomio era all'Ospedale Sant'Orsola e come sarà fino al 1867. Il manicomio nasce nella prima metà del ‘700, all'interno di un'ala del Sant'Orsola, sui viali angolo via Massarenti. Era un cortile in quell'area lì, non c'erano barriere o separazioni. Sarà con il tempo che cominceranno a tirare su i muri, a spingerli soprattutto nei sotterranei e di conseguenza l'ambiente sarà molto malsano. Da lì pensarono di trasferirsi anche a causa di frequenti esplosioni di colera e li portarono qui. Le prime sono del 1810, non che anteriormente non ci fossero ma non erano fatte come le intendiamo noi oggi: prima non esistevano con l'indicazione del nome, cognome, dati anagrafici, tipo di sindrome che avevano.

L'edificio che poi ha ospitato l'Ospedale in via Sant'Isaia era in origine un ex convento abbandonato e senza un progetto di riutilizzo, dove i pazienti furono trasferiti nel settembre del 1867.  In archivio sono conservate tutte le cartelle fino al 1980, momento in cui, a seguito dell'entrata in vigore della Legge 180/78 (Legge Basaglia),  si iniziarono le dimissioni dei pazienti in vista della chiusura di tutti gli ospedali psichiatrici. Qualcuno degli ex pazienti del manicomio rimase, non proprio in questi locali: alcuni non vollero uscire e allora li misero ad esempio nell'ex clinica psichiatrica che allora funzionava ancora, quella di fronte al Righi o in altre strutture analoghe. Lo chiamavano “Ricovero volontario”, perché numeri limitati di persone non vollero tornare a casa.

– Ci sono dei problemi di privacy per poter utilizzare le cartelle cliniche dei pazienti?

Per le cartelle cliniche, la parte più delicata, abbiamo i 70 anni di privacy a partire dalla data di uscita dall'ospedale del paziente prima di poterle mostrare. Le ricerche che vengono fatte si fermano tutte al 1949. Per poter vedere materiali successivi ci vuole tutta una serie di richieste da fare al Ministero dei Beni Culturali.

Capitano delle ricerche da parte degli studenti o classi che vengono a fare della didattica proprio sulle cartelle cliniche, ad esempio negli anni scorsi per l'anniversario della Prima Mondiale. In quel periodo storico siamo oltre i 70 anni, quindi non ci sono problemi di privacy. Ci raccomandiamo sempre con gli studenti, però, di usare queste cartelle con una certa cautela e attenzione per evitare un'eccessiva enfatizzazione. I pazienti erano persone che hanno vissuto i problemi della e il problema del ricovero in manicomio. Consigliamo sempre di citare con i nomi puntati, anche se sono libere e a disposizione di tutti i ricercatori.

– Attualmente ci sono delle ricerche in corso che riguardano questi materiali?

Ci sono in corso parecchie ricerche. Ad esempio una è sulle della prima mondiale, una sulle sindromi post belliche della seconda mondiale, una sui materiali degli psichiatri per vedere la loro azione sanitaria e psichiatrica durante gli anni del ‘68-'77, ovvero gli anni delle contestazioni. Ce n'è stata una molto interessante sulle diete, su cosa mangiavano nell'ex manicomio. Nell'archivio generale c'era, infatti, anche una parte dedicata all'alimentazione, perché molti pazienti per ragioni non solo psichiatriche ma anche fisiche avevano bisogno di un tipo di dieta particolare. Sono stati individuati quattro tipi di diete in tutto.

In passato sono state fatte molte ricerche, ci si concentra in genere su qualche aspetto specifico legato alle cartelle cliniche: molto spesso viene analizzato il periodo della , le conseguenze della guerra, il tipo di cure che venivano fatte.

Personalmente sto portando avanti il discorso delle cartelle cliniche in generale, con un progetto nazionale che le digitalizza una per una per ogni città in cui c'era un manicomio. Questo progetto si chiama “Carte da legare” e tramite un software si digitalizzano le cartelle. Contemporaneamente sto facendo un lavoro per quanto riguarda i bambini ricoverati in manicomio, da quando esistono le cartelle cliniche. Nessuno ci ha mai pensato ma ce n'erano tanti: dall'inizio fino al 1927, quindi circa 117 anni, siamo a circa 700 bambini. Per bambini consideriamo dalla nascita fino ai 15 anni; forse è anche un po' eccessivo però usiamo dei criteri che usavano in Provincia sui bambini abbandonati. Erano seguiti dall'ospedale degli Esposti fino ai 15 anni e allora, visto che la Provincia gestiva entrambi i luoghi, usiamo lo stesso criterio. Faccio un diagramma su excel dove metto i dati anagrafici, la professione, la diagnosi di entrata e uscita e delle note, quando c'è qualche annotazione interessante. Stanno venendo fuori delle informazioni interessanti. Molti venivano mandati in istituti particolari che all'epoca prosperavano. Ricoveravano questi bambini, si facevano dare dalla Provincia la retta giornaliera per gestirli e in questi istituti succedevano cose non bellissime per questi bambini.

– In che modo si possono consultare i materiali?

Si può fare richiesta al Direttore dell'Istituzione Gian Franco Minguzzi che valuta la richiesta e dà il suo consenso. Successivamente io affianco i ricercatori nel loro lavoro.

Per maggiori informazioni, puoi consultare la scheda sul sito dell'Istituzione Gian Franco Minguzzi