La sulle con è un tema decisamente poco noto e che si fatica a portare all'attenzione, tanto sembra “fuori posto” e doppiamente esecrabile. Non si esprime necessariamente con modalità eclatanti, ma utilizza spesso forme subdole, silenziose, meno evidenti, che per questo rischiano di essere invisibili – come dice , giornalista del Centro Documentazione Handicap, nel contributo riportato qui sotto. Ma è proprio questa invisibilità a celare la violenza sotto forma di “violazione di un diritto umano fondamentale, quello di essere vista come persona e come donna”. Con ripercussioni pesanti per le coinvolte, ma anche negligenze importanti e ritardi clamorosi nella fornitura di servizi adeguati. Per fortuna, qualcosa si sta muovendo.

Sono una donna e ho una motoria dalla nascita. Da vent'anni mi occupo di tramite il Centro Documentazione Handicap di Bologna, dove lavoro. Conosco tante altre con e per il mio lavoro incontro spesso famiglie, insegnanti, figure educative e assistenziali. Per tanti anni non sono mai venuta in contatto con la violenza alle con , se per violenza intendiamo percosse, stupri, femminicidi. A parte qualche caso di cronaca letto sui giornali di soprattutto con deficit intellettivi segregate e/o abusate, la alle donne con disabilità era un fenomeno per me invisibile.

Almeno fino al 2013. In quell'anno, l'associazione toscana “Frida – donne che sostengono donne” organizzò un convegno sul progetto Aurora, nato per comprendere e contrastare la ai danni di donne con disabilità. Mi chiesero di intervenire come relatrice, in quanto negli anni precedenti avevo lavorato molto su tematiche femminili, come la maternità di donne con disabilità motoria e con deficit visivi.

Allora mi sono guardata intorno, e ho scoperto che alcune forme di violenza erano sempre state sotto i miei occhi, anche se si tratta di forme più subdole, meno evidenti, meno eclatanti perché non portano alle ferite, agli occhi neri, alla morte. La violenza diventa allora quella che nega alla donna disabile il diritto all'adultità, a essere riconosciuta come una donna adulta che possa prendere qualche decisione sulla propria vita, banalmente partendo dalla maglietta che si vuole indossare per uscire di casa. Ci sono genitori o operatori che vestono appositamente male la figlia o donna disabile, in modo che non possa risultare attraente per gli altri, “perché non si sa mai, un qualche male intenzionato che si voglia approfittare di lei ci può essere e dopo sono guai, soprattutto se resta incinta”. Ci sono genitori o operatori che non portano mai la figlia o donna disabile dalla parrucchiera, “perché tanto anche se le sistemo i capelli cosa cambia? Non la vorrà comunque nessuno disabile com'è”. Ci sono genitori o operatori che non depilano le gambe della figlia o donna disabile, anche se è estate e si indossano vestiti più corti, “perché tanto sono gambe disabili, sono comunque fatte diversamente, un pelo in più o in meno non fa la differenza”. Ci sono genitori o operatori che non permettono alla figlia o donna disabile di avere la possibilità di decidere come utilizzare anche solo un euro della propria pensione di invalidità. Ci sono genitori o operatori che si rifiutano di comprare alla figlia o donna disabile degli ausili per migliorare la sua autonomia, “tanto autonoma non lo sarà mai fino in fondo”. Ci sono donne disabili che vestiranno con la tuta da ginnastica per tutta la vita perché la tuta facilita le operazioni di chi si deve prendere cura di lei.
Quanti casi conosciamo di questo tipo? Quanti ne abbiamo visti? Tantissimi.
Dove risiede la violenza? Proprio nel concetto di invisibilità: perché alla base di tutte le forme di violenza c'è essenzialmente la violazione di un diritto umano fondamentale, quello di essere vista come persona e come donna. Invece l'aggettivo disabile, che dovrebbe solo servire per descrivere una condizione, vince su qualsiasi altro termine. Se sei disabile non sei anche uomo o donna, sei solo disabile, come se fosse un genere neutro. Ma negare l'identità di genere porta anche a conseguenze istituzionali catastrofiche: il fatto, ad esempio, che nel 2021 non ci siano ancora lettini ginecologici adattati a donne con deficit motori (tranne qualche rarissima eccezione), e si neghi quindi il diritto a prendersi cura della propria salute femminile, viene da lì. Il fatto che molti servizi antiviolenza non siano adattati a donne con disabilità viene da lì.

Per fortuna, dal 2014 in poi le acque si stanno muovendo (nel 2020 poi il dibattito si è acceso con tanti seminari online): a dicembre di quell'anno venne organizzato a Milano il primo convegno nazionale su donne con disabilità e , da cui nacque, nel 2015, un numero monografico della rivista HP-Accaparlante del Centro Documentazione Handicap. Si intitolava “La vie en rose” e aveva l'obiettivo di iniziare a proporre percorsi di uscita dalla violenza anche per donne con deficit (oggi per fortuna questi percorsi cominciano ad essere costruiti).
Per scoprire da dove tutto è iniziato, la monografia “La vie en rose” è ora online.

 

 

Centro Documentazione Handicap

L'illustrazione è di Attilio Palumbo