Continua la riflessione aperta su questo blog da , giornalista del Centro Handicap di Bologna, sul tema e con . Questa volta viene presentata una “buona notizia” relativa ad una recente sentenza della Corte Suprema Indiana, che non solo riconosce la situazione specifica delle con che hanno subito violenza sessuale, ma apre la strada a cambiamenti culturali significativi. E il fatto che la sentenza provenga dall'India, è un elemento di ulteriore di attenzione, quasi una sfida, a pensare alla possibilità di applicazione del modello come linea guida anche in altri Paesi.

Spesso uno dei timori principali che bloccano la denuncia di da parte di una donna è quello di non essere creduta. Su una donna con , questo timore non solo si amplifica ma viene in qualche modo “legittimato”: “Come è possibile che una donna disabile abbia attratto su di sé una violenza?”, “Siamo sicuri che sappia riconoscere se è una violenza?”, “Ha gli strumenti per denunciare i fatti e riconoscere l'aggressore? Ci possiamo fidare?”, sono solo alcune delle domande che cominciano a formarsi quando ci troviamo di fronte una donna con che vuole denunciare una violenza.

In questi giorni, però, mi è capitato di leggere un ampio approfondimento a cura di Simona Lancioni su una sentenza molto interessante, emanata dalla Corte Suprema dell'India lo scorso 27 aprile (Giurisdizione di Appello Penale, ricorso penale n. 452 del 2021). La sentenza si riferisce a un caso avvenuto nel 2011, quando una giovane donna di diciannove anni, cieca sin dalla nascita, fu violentata da un amico di suo fratello. Se nel 2018 Human Rights Watch denunciava il calvario delle disabili in India vittime di violenza, raccontando come non venissero prese sul serio dalla polizia al momento della denuncia, oppure come venissero sottoposte a trattamenti ritenuti disumani, ad esempio con il test della verginità, questa sentenza porta aria di cambiamento ma addirittura di buone prassi da esportare anche fuori dell'India. In particolare ci sono due aspetti della sentenza molto importanti.
Il primo è che la donna ha identificato il suo aggressore solo dalla voce e che tale identificazione è stata definita giuridicamente «affidabile». Il giudice ha quindi attribuito a questa modalità di identificazione la stessa rilevanza giuridica accordata all'identificazione visiva, ampliando in qualche modo la gamma degli elementi che possono essere validamente utilizzati a fini probatori nei processi giudiziari che vedono coinvolte persone con .
Il secondo aspetto interessante della sentenza è di tipo culturale. Nella sentenza, infatti, si parla anche di intersezionalità: appurato che le esperienze di stupro sono traumatiche sempre e per qualsiasi donna, indipendentemente dalla sua posizione sociale nella società, la sentenza dice che quando le esperienze di aggressione riguardano di una casta svantaggiata e per di più con , entrano in gioco diversi rapporti di potere. Quando, cioè, l' di una donna si interseca, tra gli altri fattori, con la casta, la classe, la religione, la e l'orientamento sessuale, questa donna potrebbe subire violenze e discriminazioni per due o più motivi. In situazioni del genere, si legge nella sentenza, «diventa imperativo utilizzare una lente intersezionale per valutare come molteplici fonti di oppressione operano cumulativamente per produrre una specifica esperienza di subordinazione per una donna cieca appartenente alla Scheduled Caste [casta svantaggiata]».

Insomma una sentenza di ampie vedute e che viene proprio da uno dei Paesi dove purtroppo ci sono ancora troppi soprusi contro le . Speriamo sia una linea guida sul concetto di giustizia sociale, in India e fuori dall'India.

 Valeria Alpi
Centro Handicap