Sono ormai chiare, e acquisite anche dalla letteratura internazionale, le evidenze scientifiche sull’importante ruolo che svolge il teatro (e tutte le arti in generale) nella promozione della salute e del benessere, nella prevenzione e anche nel trattamento e gestione di condizioni di malattia (Report dell’OMS,2019). Loredana Di Adamo (filosofa e psicologa, autrice di numerosi testi sul tema) ne parla con Ivonne Donegani, del coordinamento teatro e salute mentale, analizzando le varie sfaccettature dei legami del teatro con la cura, dell’arte con la vita.
C’è motivo di credere che il teatro, lungi dall’essere un’invenzione umana, sia dunque un fenomeno inerente all’espressione stessa, che nasce con quest’ultima. Ciascuno di noi reca in sé […] la facoltà spontanea di recitare, di simulare, di fingere. E questa facoltà, senza tenere conto del suo eventuale apprendimento, va considerata comunque un aspetto imprescindibile della vita…
Eugène Minkowski, Verso una cosmologia. Frammenti filosofici, 1936[1]
Sappiamo come, nella rappresentazione teatrale, l’arte e la vita trovino il loro accordo in un intreccio di corrispondenze ideali, che vedono al centro gli individui e la loro disposizione comunicativa, espressiva e immaginativa, quale fonte naturale di vitalità e rigenerazione. Gli antichi greci conoscevano bene le virtù dell’imitazione (μίμησις) del vero, tanto che idearono la tragedia come strumento di Educazione nell’interesse della comunità. Fu proprio Aristotele a portare in luce le qualità[2] e l’intrinseco legame dell’arte con la vita.
La tragedia è imitazione non di uomini ma di azioni e di mondo di vita.
Aristotele, Poetica, IV sec. A.C., 6; 15-20
In un momento storico come quello attuale, in cui la dimensione filosofica ed etica della cura sta lasciando sempre più il posto ad una dimensione tecnica e standardizzata, crediamo possa essere utile ragionare sul dispositivo del teatro, quale opportunità di incontro senza barriere con chi attraversa l’esperienza del disagio psichico.
Allo scopo, abbiamo dialoghiamo con la dott.ssa Ivonne Donegani, psichiatra, già Direttrice del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda USL di Bologna, che dopo il pensionamento, ha scelto di proseguire il suo impegno come volontaria dell’Associazione bolognese “Arte e Salute APS” e del “Coordinamento Teatro e salute mentale”, impegnandosi attivamente nei percorsi di de-istituzionalizzazione, promozione della salute e inclusione sociale. Donegani, dal 2007, si occupa del progetto “Teatro e salute mentale”[3], un progetto finalizzato a favorire nuove forme di riabilitazione e a costruire nuova cultura nel campo della salute mentale attraverso l’attività teatrale.
Chiediamo a Donegani come è nato il progetto “Teatro e salute mentale”.
Il progetto “Teatro e salute mentale” è nato dal dialogo e dal confronto fra persone appartenenti a mondi e discipline diverse, fra esperti del settore sanitario e teatrale, portatori di interesse-familiari, utenti, associazioni di Volontariato ed istituzioni. L’esperienza di questi decenni ha confermato la capacità del teatro di agire sui “determinanti di salute”, proponendosi come buona pratica per migliorare il benessere delle persone, e volano potente per attivare processi di partecipazione e creazione del welfare culturale. L’obiettivo comune era di fare un teatro vero in cui la “differenza” potesse diventare una risorsa e testimonianza attiva di un’azione culturale, contro lo stigma e il pregiudizio ancora presenti nei confronti delle persone con sofferenza psichica.
Il costrutto “teatro illimitato” [4] nasce dalle esperienze virtuose di questi decenni, in cui attori diversificati si sono uniti intorno a progetti in cui l’arte ha assunto un ruolo centrale, nel suo originario legame con la cura. Un costrutto potente che può avere una sua utilità per l’integrazione di discipline diverse e la partecipazione da parte della collettività al sostegno delle persone con disagio psichico.
Il teatro è un veicolo potente di cura e trasformazione, in grado di produrre un impatto significativo sul benessere delle persone. La sinergia di attori diversificati, e di collaborazioni multidisciplinari, in una modalità che sia aperta anche alla cittadinanza, non può che alimentare forme di cura in cui non sia messa al centro la diagnosi ma la persona, in favore di spazi di condivisione senza steccati. La messa in scena di azioni e di storie permette a chi vi partecipa di avvertire che ciò che accade sulla scena è qualcosa che può riguardare anche se stessi, toccando le emozioni e modificando il sentire e il giudizio, e consentendo, inoltre, di riscrivere, in modo nuovo, la stessa narrazione. Le esperienze vissute nell’ambito della salute mentale ci danno la testimonianza della reciprocità che origina dalla vita vissuta e rappresentata, ed è senz’altro utile attingere a questa opportunità per realizzare un modo di fare terapia dove non ci siano barriere. Il teatro permette di abbattere muri, mettendo sullo stesso piano operatori e utenti, con il coinvolgimento di persone esterne, associazioni e familiari. Ecco, il concetto di “teatro illimitato” si riferisce a questa opportunità.
Sappiamo che il teatro ha avuto un ruolo centrale nel processo di Riforma psichiatrica [180/1978] attuato da Franco Basaglia e dal suo gruppo. Possiamo considerare questa sinergia, di teatro e cura, come una risorsa importante per il futuro delle scienze della salute mentale?
Gli artisti sono stati centrali nel processo di trasformazione della cultura sanitaria. È proprio attraverso l’integrazione di territorio e ospedale, e di arte e vita, che è stato possibile attuare un cambiamento come quello promosso dal movimento di Riforma, e andare alla riscoperta della funzione del teatro come strumento di libertà.
In verità, di esempi significativi di esperienze di cura con il teatro ci sono anche prima del movimento di Riforma. Già nel corso dell’Ottocento possiamo trovarne: ricordiamo il caso del marchese De Sade, rinchiuso nel manicomio di Charenton dal 1801 fino alla sua morte (1814) poiché ritenuto individuo socialmente pericoloso, a cui venne permesso di allestire lavori teatrali nei quali recitavano i pazienti. Un’altra nota testimonianza della presenza di attività teatrali nelle strutture manicomiali è raccontata da Alexandre Dumas nel 1863. Durante la sua permanenza a Napoli, in qualità di Ministro delle Belle Arti, egli assiste a una rappresentazione nella quale gli attori sono i pazienti internati nel manicomio di Aversa. Arrivando al Novecento, è con l’avvento della fenomenologia che diventa possibile restituire un significato ai bisogni delle persone internate, favorendo l’espressione del loro diverso modo di essere-nel-mondo[5].
Franco Basaglia, quale pioniere dell’antropo-fenomenologia nella Psichiatria italiana[6], negli anni ’70, ha agevolato l’entrata degli artisti in diversi Ospedali Psichiatrici. L’attività artistica, svolta dagli operatori, dai volontari e dagli stessi internati, ha accompagnato il percorso di deistituzionalizzazione, e la bellissima macchina teatrale di Marco Cavallo[7] ne è l’emblema. Il Cavallo blu è diventato la più importante testimonianza del legame tra arte e cura, continuando in questi decenni a raccontare la lunga storia di liberazione per il riconoscimento dei diritti delle persone con disagio psichico.
Se l’opera è un atto di libertà, di scelta da parte dell’autore, io dovrò viverla, per comprendere la sua libertà […]
Franco Basaglia, Ambiguità ed oggettivazione dell’esperienza figurativa psicopatologica, 1964[8]
Il tema della libertà è stato molto importante per il progresso dell’umanità nel modo di considerare la sofferenza e la cura. Forse si tratta di una questione essenziale che invece rischia di perdersi nell’oblio della memoria.
Il tema della libertà è fortemente legato alla questione della cura[9]. La promozione di una visione non stigmatizzante del disagio psichico può avvenire solo aprendo lo spazio chiuso della clinica ad una visione integrata delle esperienze e dei saperi, e ponendo la questione della cura come un imperativo di tipo etico, oltre che politico e sociale.
L’arte teatrale, come espressività di emozioni complesse ed integrate nella parola e nel corpo, è stata fondamentale nel processo trasformativo della cultura psichiatrica all’epoca della Riforma, ma lo sarà anche in seguito. Il teatro ha rappresentato un potente veicolo comunicativo di forza e guarigione, utile per sostenere l’impegno necessario a tenere vivo il senso profondo di quel cambiamento. La trasformazione avvenuta non ha riguardato solo la Psichiatria, ma la vita di ogni persona nel modo di considerare l’altro, e questo è un processo che concerne anche le nostre vite, le scelte che facciamo oggi, e quelle che faremo in futuro.
Sarebbe importante per la nostra contemporaneità, investita da un tecnicismo imperante, riuscire ad attingere alle virtù dell’arte e agli strumenti della convivenza, così da volgere lo sguardo non tanto alle metodiche standardizzate, ma a quel «mondo-della-vita»[10] di cui, purtroppo il ricercatore si sbarazza[11].
Il progetto “Teatro e salute mentale” è nato proprio dall’incontro di operatori che avevano avuto modo di fare esperienze virtuose in attività teatrali svolte nei DSM e che avevano rilevato come il teatro rappresentasse una possibilità e una risorsa per la promozione del benessere individuale e sociale nel campo della salute mentale; qualcosa di funzionale anche per l’operatore. Di fatto, attraverso l’esperienza del teatro abbiamo una pluralità di sguardi, e il processo di cura coinvolge tutti, non solo la persona che attraversa l’esperienza del disagio, ma anche l’equipe stessa che vi partecipa. Questo produce una rottura degli schemi, qualcosa che parte dalle persone presenti in scena e che arriva anche allo spettatore. Il teatro facilita l’abbattimento dello stigma riguardo la malattia mentale da parte di chi vi prende parte, come attore o spettatore, per poi abbattere lo stigma che porta con sé il mestiere della cura. Il teatro è produttore di cambiamento[12].
Dovremmo forse recuperare il senso delle cose là dove hanno avuto origine. Prima dell’età moderna, l’arte, la filosofia e la medicina non costituivano delle discipline accademiche a sé stanti, ma rappresentavano piuttosto la possibilità di esercitare un sapere pratico essenziale al perseguimento della “vita buona” (εὐδαιμονία, “felicità”, “poter essere sé”)[13]. Il concetto di “cura” aveva un significato diverso rispetto all’accezione moderna di terapia, ed era piuttosto un’“aver cura” di sé stessi, degli altri e del mondo[14] quale stile di vita. Si narra che Ippocrate indicasse ai suoi pazienti di andare a teatro[15] per favorire l’equilibrio di corpo e mente. Nell’epoca del DSM-5 siamo ancora in tempo per tornare ad abitare questa dimensione di senso?
La dimensione curativa delle arti affonda le sue radici nella vita stessa, rappresentando un bene prezioso che abbiamo sottomano. Promuovere delle opportunità di confronto e di aggregazione intorno a questo tema, agevolando, inoltre, il fare cose insieme, può essere decisivo per recuperare un modo di abitare la cura che sia più umano e gentile. Promuovere questa opportunità significa anche rispondere alle giovani generazioni di studenti, e ai futuri operatori, che si interrogano sul loro ruolo e sul destino delle scienze della salute mentale. Il teatro, quale veicolo generativo di senso, può aiutarci a sostenere questa sfida e a contrastare le criticità dell’iper-specialismo, attraverso iniziative e collaborazioni nel territorio, tra volontari, famiglie, dipartimenti di salute mentale e istituzioni, continuando a tutelare la libertà di collaborazione al di là del ruolo ricoperto. Come afferma Edgar Morin[16]: «Non sappiamo se la situazione sia solo disperante o veramente disperata. Questo significa che, con o senza speranza, con o senza disperazione, dobbiamo passare alla Resistenza». La resistenza a cui si riferisce il filosofo della complessità è quella dello spirito. Già nell’immaginare questa possibilità ci apriamo al mondo, e all’opportunità di aggregazione e partecipazione.
Parafrasando Friedrich Nietzsche, forse il compito per la nostra attualità, e per il futuro della salute mentale, rimane quello di provare a «vedere la scienza con l’ottica dell’artista e l’arte invece con quella della vita»[17], ridestando la speranza che l’unione di intenzionalità e impegno possa essere il fulcro di un cambiamento possibile.
Crediamo che proprio questa sia la strada da intraprendere.
Loredana Di Adamo
Filosofa teoretica e psicologa clinica
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- Minkowski, E., (1936), Verso una cosmologia. Frammenti filosofici, Einaudi, Torino 2005, p. 110 ↑
- Aristotele, (334-330 sec. a.C.), Poetica, Laterza, Roma-Bari 2025 ↑
- Il progetto teatro e salute mentale oggi riunisce le esperienze di teatro promosse dai Dipartimenti di salute mentale della Regione Emilia Romagna ed è formalizzato da un protocollo firmato dall’Assessorato politiche per la salute e dall’Assessorato Cultura, parchi e forestazione, Tutela e Valorizzazione della biodiversità, Pari opportunità, dall’Istituzione Gian Franco Minguzzi che coordina la rete delle esperienze teatrali promosse dai Dipartimenti di Salute mentale e dall’Associazione di promozione sociale “Arte e salute” che coordina la Rete dei Teatri della Salute che ospitano gli spettacoli delle compagnie. Teatralmente – Teatralmente ↑
- Il costrutto “teatro illimitato” dà il titolo ad un testo curato da Cinzia Migani, direttora del VolaBO, e dalla psicologa e psicoterapeuta Maria Francesca Valli. Si veda Il teatro illimitato. progetti di cultura e salute mentale, Negretto, Mantova 2012. ↑
- Cfr. Binswanger, L., (1936), Per un’antropologia fenomenologica. Saggi e conferenze psichiatriche, Feltrinelli, Milano 2007 ↑
- Cfr. Di Adamo, L., Della cura. Studi fenomenologici e salute mentale, Mantova, Negretto 2024 ↑
- La nascita di Marco Cavallo è stata favorita da Franco Basaglia, insieme a Giuliano Scabia, Vittorio Basaglia e Peppe Dell’Acqua, con la volontà di dare forma ad esperienze espressive e creative partecipate da volontari, operatori e internati. Si veda Dell’Acqua, P., Non ho l’arma che uccide il leone. La vera storia del cambiamento nella Trieste di Basaglia e nel manicomio di San Giovanni, Alpha & Beta Verlag, Merano 2015. ↑
- Basaglia, F., Scritti 1953-1980, (a cura di) Ongaro, F.; Giannichedda, M.,G, Il Saggiatore, Milano 2017, p. 256 ↑
- Cfr. Foucault, M., (1961), Storia della follia nell’età classica, Bur, Milano 2011 ↑
- Cfr. Husserl, E., (1935), La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Per un sapere umanistico, Il saggiatore, Milano 2002 ↑
- Cfr. Husserl, E., (1935), La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale. Per un sapere umanistico, Il saggiatore, Milano 2002 ↑
- Rispetto alle qualità del teatro è stato creato un manifesto con otto punti che accomunano le esperienze del teatro e della salute mentale. Firma il Manifesto TO BE – Teatralmente ↑
- Cfr. Aristotele, (IV sec a. C.), Etica Nicomachea, Laterza, Roma-Bari 2005 ↑
- Cfr. Platone, (IV sec a. C.), Alcibiade Maggiore, BUR, Milano 1995. Si rimanda anche alla lettura di Foucault, M., (1984)., La cura di sé, Milano, Feltrinelli, 1985 ↑
- Per gli antichi il concetto di “terapia” (therapeia) connotava il “servizio riservato alla divinità, ovvero la dedizione verso l’altro, per la qual cosa venivano messi in primo piano l’ascolto, l’attenzione e la relazione. Questo atteneva a quella dimensione etica, fortemente radicata nella cultura antica, che poneva in primo piano la ragionevolezza (φρόνησις) quale forma di virtù necessaria per saper deliberare sul giusto nella situazione specifica. Cfr. Platone, Eutifrone, 13d; Repubblica, 427b. ↑
- Edgar Morin, (24/01/2024), La resistenza dello spirito. La Repubblica. La resistenza dello spirito – la Repubblica ↑
- Nietzsche, F., (1872), La nascita della tragedia, Adelphi, Milano 2009, p. 6 ↑
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