La promozione della è un obiettivo fortemente condiviso dalla nostra Istituzione, che lo considera uno dei filoni principali della sua riflessione e azione: sul tema numerosi sono gli interventi su questo blog. In occasione della Giornata Mondiale sulla , che si celebra ogni anno il 10 ottobre, è stata ospitata nel quadriportico dell’ex Ospedale psichiatrico la mostra Tra Ragione e follia: Il pensiero di Franco Basaglia nelle opere del Collettivo degli artisti di Monte Mario. L’inaugurazione della mostra è stata preceduta da una presentazione molto articolata e approfondita di , qui riportata, che ha sapientemente collegato le singole opere degli artisti a un commento sulla vita e il  pensiero di .

Ai primi del Novecento a Monte Mario, all’epoca area periferica a nord di Roma, viene realizzato il progetto “Città della e per la pazzia” per “rispondere alle moderne esigenze dell’igiene e della tecnica manicomiale”. Assumerà il nome di Ospedale Psichiatrico provinciale di Santa Maria della Pietà. Esteso su un’area di 23 ettari, con i suoi vari padiglioni si presentava come un villaggio chiuso da una recinzione metallica nascosta da una fitta siepe che ospitava oltre 2500 ricoverati. Viene definitivamente chiuso solo nel 1999, ad oltre vent’anni dall’approvazione della legge 180. Le persone che vi avevano condotto un’esistenza mortificata potevano finalmente tornare a vivere, nonostante la loro malattia, nella città di tutti. Nel lavoro di recupero e risignificazione di quegli spazi è impegnato anche un Collettivo di Artisti, nato nel 2019 ed attivo nel quartiere di Monte Mario. Inizialmente ha sede nell’ex lavanderia assieme a diverse Associazioni culturali. Lavorando con un approccio antropologico e sotto la curatela dell’antropologa Dafne Crocella, ha portato avanti negli anni uno sguardo di indagine sul che è diventato presto ricerca concettuale sui temi del disagio psichiatrico, della storia del manicomio in Italia e del pensiero basagliano. Il Collettivo ha inizialmente lavorato ed esposto nella sede dell’ex Ospedale Psichiatrico. In seguito allo sgombero delle Associazioni per una diversa destinazione di quella sede, le mostre si sono andate muovendo sul invitate da realtà periferiche romane, in festival e in spazi espositivi privati. Ogni anno, in prossimità del 13 maggio, ricorrenza della firma della Legge 180, il Collettivo organizza le Giornate Basagliane: un insieme di mostre, azioni performative, presentazioni di libri, tavole rotonde, cineforum e concerti finalizzati a veicolare le tematiche della . Quest’anno, in occasione del centenario della nascita, il Collettivo ha scelto di lavorare sui testi di . Su teli, lenzuola o antiche tovaglie sono state cucite a patchwork, dipinte, scritte, ricamate frasi tratte da quei testi offrendo una testimonianza creativa del percorso umano, culturale e politico dell’autore.

Le opere realizzate dal Collettivo Artisti di Monte Mario, nel centenario basagliano, sono state esposte in un borgo medioevale del Lazio e nell’ex Ospedale Psichiatrico a Bologna.

 “Ci sono molti pensieri senza pensatore, sono così nell’aria, da qualche parte…pensieri vagabondi…potenzialmente pensieri selvaggi. Spero che qualcuno si possa sentire preparato ad alloggiare questi pensieri…possa osare di dare qualche tipo di alloggio temporaneo parole adatte perché possano esprimersi…che possa essere data loro la possibilità di mostrarsi”.

 Queste parole di Wilfred Bion, psichiatra e psicoanalista, delineano la funzione di holding e di rêverie materna che può essere riattivata nel campo psicoanalitico, attraverso una vitale interazione tra contenitore e contenuto, tra il setting e gli attori che lo animano. Le opere del Collettivo degli Artisti di Monte Mario sembrano offrire “alloggio” alle parole di , nell’anno in cui si ricorda il centenario della sua nascita. Le parole, contenute nelle numerose opere da lui pubblicate, sembrano rimaste nell’aria, vagabonde e potenzialmente selvagge. Non sembrano trovare oggi facilmente alloggio nell’articolazione del lessico e della prassi specifica del prendersi cura del dolore mentale. Lo sguardo dell’arte declinata al femminile con lenzuola cucite, dipinte e ricamate, sembra osare di accogliere e rispecchiare iconicamente quelle parole ed i pensieri che le sottendono. Possono così esprimersi sventolando all’aria per rammentare e conservare conquiste di conoscenza e di libertà, cifra del pensiero basagliano.

nasce a Venezia e cresce nel Sestriere di San Polo. Il padre e lo zio gestivano un’importante attività commerciale per cui egli non manifesta interesse. Dopo il liceo si iscrive alla Facoltà di Medicina dell’Università di Padova mentre infuria la guerra. Dopo l’8 settembre del 1943, il Rettore Concetto Marchesi, come suo ultimo atto ufficiale prima di andare in clandestinità, invita gli studenti ad opporsi al regime nazifascista, a lottare per la libertà. Basaglia, sensibile a questo appello, aderisce ad un gruppo di studenti antifascisti. Una delazione porterà al suo arresto, alla condanna e al carcere. Sarà liberato il 25 aprile 1945, da sempre festa del patrono San Marco per i veneziani, poi per tutti anche della Liberazione. L’esperienza diretta del carcere renderà Basaglia particolarmente attento al valore della libertà che è la radice primaria del suo impegno antiistituzionale.

(Antonella Fiorillo: “Corpo, Vissuto”)

(Antonella Fiorillo: “Corpo, Vissuto”)

Dopo la fine della guerra Basaglia riprende gli studi, si laurea e poi si specializza in Clinica delle malattie nervose e mentali. Intelligente, appassionato, studioso, consegue in seguito anche la libera docenza e sembra avviato ad una brillante carriera accademica. Non si limita allo studio dei fondamenti della positivista classica, attraverso le opere di E. Kraepelin e M. Bleuler. Rimane folgorato dalla prospettiva fenomenologica delineata da K. Jaspers, E Minkowski e J. P. Sartre. Focalizza i suoi studi sul vissuto del corpo nei pazienti affetti da disturbi psicotici. Il linguaggio del corpo è riletto non più sullo sfondo del teatro anatomico (Kurper), ma del teatro della vita (Lieb). I suoi primi lavori scientifici testimoniano la presa di coscienza che una semplice descrizione non avvicina alla comprensione dell’esperienza dell’Altro. Esplora anche il rapporto tra produzione artistica e disturbi psicopatologici e presenta un lavoro al secondo Convegno internazionale di Psicopatologia dell’espressione che si tenne a Bologna alla fine degli anni ’50.

(Silvia Capiluppi: “Desideriamo che il nostro corpo sia rispettato, tracciamo dei limiti che corrispondono alle nostre esigenze, costruiamo un'abitazione al nostro corpo”)

(Silvia Capiluppi: “Desideriamo che il nostro corpo sia rispettato, tracciamo dei limiti che corrispondono alle nostre esigenze, costruiamo un’abitazione al nostro corpo”)

Le parole, ricamate sulla tela dalle mani dell’artista, si fanno letteralmente carne, traducono il Lieb fenomenologico in una posizione yoga che esprime, trasmette forza e leggerezza, e segnalano confini intesi come scenario di desideri e di diritti umani da garantire.

(Gabriele Scocco: “La follia è una condizione umana, ed presente in noi come la ragione”)

(Gabriele Scocco: “La follia è una condizione umana, ed presente in noi come la ragione”)

(Mirella Rossomando “In noi la follia esiste ed è presente come la ragione”)

(Mirella Rossomando “In noi la follia esiste ed è presente come la ragione”)

Comincia ad interessarsi anche delle esperienze inglesi di Comunità Terapeutica portate avanti da Maxwell Jones fin dall’inizio degli anni’50. Il direttore della Clinica delle malattie nervose e mentali, il prof. G. B. Belloni, non apprezza gli interessi culturali del suo assistente per la fenomenologia e la sociale. Lo definisce in senso svalutativo “il filosofo” e gli fa capire che non c’è un futuro per lui nell’Università. Gli viene prospettata la direzione dell’Ospedale Psichiatrico di Gorizia come unica via d’uscita. L’esperienza dell’istituzione manicomiale, che impoveriva i singoli e le collettività, diventa occasione per Basaglia di ripensare Ragione e Follia in una diversa prospettiva antropologica. L’artista giocando sulle polarità del bianco e del nero, delle parole e degli sguardi focalizza profili diversi e co-presenti della condizione umana.

(Ariana Ariè: “Da vicino nessuno è normale”)

(Ariana Ariè: “Da vicino nessuno è normale”)

A 36 anni Basaglia, emarginato dall’Università, si trova ad entrare per la prima volta in un Manicomio dove ritrova la stessa puzza di merda e l’opprimente mancanza di libertà sperimentate in carcere. Vorrebbe scappare, ma la moglie Franca lo incoraggia a resistere e lottare. Raccoglie un gruppo di giovani psichiatri a partire da A. Slavich di cui era stato tutor durante il tirocinio e relatore della tesi di laurea, A. Pirella di cui conosceva l’interesse per la fenomenologica, G. Jervis che aveva collaborato con E. De Martino nella ricerca pionieristica di etnopsichiatria sul fenomeno del tarantismo in Puglia. L. Comba, moglie di Jervis, e F. Basaglia Ongaro arricchiscono il gruppo con il loro vertice professionale non medico. Tre neolaureati E. Venturini, V. Pastore e D. Casagrande entrano presto nel gruppo. Con loro Basaglia avvia, tra mille difficoltà e resistenze, un pionieristico processo di deistituzionalizzazione, una concreta utopia di liberazione, riconoscendo il dialogo ravvicinato come la via per comprendere il profilo esistenziale di ogni Alterità e dissipare il pregiudizio di incomprensibilità che altrimenti avvolge il paziente psichiatrico.

(Antoanetta Marinov: “Riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita”)

(Antoanetta Marinov: “Riconoscere la follia là dove essa ha origine, come dire, nella vita”)

La cesura della tela, come in un quadro di Lucio Fontana, sembra sottolineare la frattura psichica nel suo afferire comunque, seppur dolorosamente, alla vita, come unica sorgente di senso. L’esperienza di Gorizia si ispira, dapprima, al modello operativo della Comunità Terapeutica sviluppato da Maxwell Jones, ma via via ne individua i limiti, il rischio di autoreferenzialità e di una deriva istituzionale sottotraccia. Basaglia ha la possibilità di studiare anche testi non ancora disponibili in italiano. Franca Basaglia Ongaro traduce Asylums di E. Goffman, un’opera fondamentale di analisi dei meccanismi alienanti delle istituzioni totali. G. Jervis traduce Classi sociali e malattie mentali di A. B. Hollingshead e M. Redlich che, attraverso la revisione sistematica di diversi e ampli studi socioeconomici, evidenziano la relazione complessa e multidimensionale, il circolo vizioso tra disuguaglianze sociali e disturbi mentali. Tale orizzonte culturale offre indicazioni preziose per orientare la prassi quotidiana di liberazione dall’atmosfera manicomiale, tossica per pazienti ed operatori.

(Chiara Amici:” La follia non viene mai ascoltata per ciò che dice o che vorrebbe dire”)

(Chiara Amici:” La follia non viene mai ascoltata per ciò che dice o che vorrebbe dire”)

La follia, sorella sfortunata della poesia come affermava Clemens Brentano nell’800, richiede un’ermeneutica per coglierne i contenuti inespressi e promuoverne l’espressione e l’ascolto. Basaglia non nega la problematica dimensione della follia, ma evidenzia che il dispositivo manicomiale non ne promuove l’ascolto e la lettura del suo esplicito o implicito messaggio. La manicomiale, agli occhi di Basaglia, richiamava forse le avventure di Pinocchio dove Mastro Ciliegia non presta attenzione alla voce che esce da un pezzo di legno, perché ai suoi occhi è solo un materiale da lavorare e da adattare ad un progetto che non prevede confronto e dialogo.

(Angela Balducci: “La follia è diversità. Oppure paura della diversità”)

(Angela Balducci: “La follia è diversità. Oppure paura della diversità”)

Rispecchiamenti sociali distorti ostacolano l’elaborazione delle diversità umane, generando sofferenza. La figura, ritirata in sé stessa, riassume radici e conseguenze del circolo vizioso generato dalla proiezione sull’Altro delle proprie fragilità ed insicurezze. L’esperienza del gruppo goriziano è raccolta nel libro L’Istituzione Negata pubblicato nel 1968 da Einaudi, nella collana Nuovo Politecnico. I contenuti espressi si inseriscono in pieno nel clima culturale di quell’anno. Basaglia cerca di allargare l’orizzonte di quell’esperienza. Concorre per la direzione dell’Ospedale Psichiatrico di Bologna, dove è bocciato perché la commissione, di cui fa parte anche il suo vecchio direttore prof. Belloni, non valuta positivamente i suoi lavori scientifici in quanto considerati troppo orientati in senso psicosociale. Lascia comunque Gorizia, dove gli succede A. Pirella, per assumere prima la direzione dell’Ospedale Psichiatrico di Parma e poi quello di Trieste dove riesce, attraverso una grande sintonia con l’assessore provinciale alla sanità M. Zanetti, a completare il processo di deistituzionalizzazione. Trieste sarà individuata dall’ come centro di ricerca e formazione sulla .

(Nina Razzaboni: “E tu slegalo!”)

(Nina Razzaboni: “E tu slegalo!”)

Il riconoscimento dell’Altro come coessenziale partner dialogico ed il conseguente rispetto del suo Spazio rende il superamento della contenzione fisica un’inderogabile priorità terapeutica, un prerequisito di ogni azione riparativa. Le foto di C. Cerati e G. Berengo Gardin, scattate a Gorizia e Parma e pubblicate in Morire di classe (1969), visualizzano ad un ampio pubblico la disumanizzante quotidianità manicomiale. Adducendo il problema della privacy il direttore dell’Ospedale Psichiatrico di Bologna, che era stato preferito a Basaglia nel concorso, non permise fossero scattate foto in quell’istituto ritardando in tal modo la presa di coscienza della vergogna dell’ e della sua assoluta dissonanza con i valori sanciti dalla Costituzione della Repubblica Italiana. Due docenti universitari bolognesi appoggiarono però in modo significativo il “nuovo corso”. G. Minguzzi, fu co-fondatore e primo presidente di Democratica. C. Gentili, anticipando la legge 180 inaugurò l’attività ambulatoriale della clinica psichiatrica in un quartiere della città. L’artista sembra indicare con dei policromi segnavento l’orizzonte possibile se si segue il filo di un discorso che si fa liberante messaggio.

(Francesca Lù: “Una società per dirsi civile dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia”)

(Francesca Lù: “Una società per dirsi civile dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia”)

La non accettazione della Follia accanto alla Ragione è una contraddizione in una Società civile in quanto confligge con i suoi principi basilari di tolleranza ed accoglienza delle diversità. L’esperienza di Basaglia a Trieste ha una cifra emblematica in “Marco Cavallo”. L’immagine-simbolo realizzata da un gruppo di artisti, di pazienti, terapeuti ha fuori dapprima aiutato a liberarsi dal labirinto interno all’Istituzione Manicomiale, poi ha aperto una breccia nel muro che divideva la “città della follia” dalla “città della ragione” impoverendo entrambe. Il 25 febbraio 1973 Marco Cavallo esce dal manicomio, per farlo uscire devono abbattere il cancello d’ingresso. Dietro a lui, come in processione, dietro a Basaglia e M. Zanetti tutta la città dei matti esce per la prima volta dal suo recinto e raggiunge il colle di San Giusto. Da allora questo cavallo blu di cartapesta continua il suo viaggio come “testimonial” della libertà. Lo è stato per la campagna per il superamento dei Manicomi Giudiziari. L’artista sembra indicare la necessità di “mosse del Cavallo” per promuovere civili e salutari integrazioni tra polarità ineludibili della soggettività umana.

(Mela Wayfinder: “Il malato è l'espressione di una nostra contraddizione, sia sociale che medica”)

(Mela Wayfinder: “Il malato è l’espressione di una nostra contraddizione, sia sociale che medica”)

Basaglia cerca un nuovo fondamento antropologico all’azione terapeutica riconoscendo che le polarità, medica e sociale, definiscono in modo contraddittorio il profilo del malato e della malattia. Basaglia non abbandona la scienza psicologica in nome di quella sociologica o della politica. È particolarmente attento agli sviluppi delle scienze psicologiche ed anche ai rischi delle mistificazioni che possono indurre o coprire. Conosce i contributi innovativi della scuola di psicoterapia istituzionale francese con F. Tosquelles, P. Racamier, G. Deleuze, F. Guattari. Conosce la prospettiva psicoterapica di R. Laing e David Cooper. Conosce la ricerca storico-filosofica M. Foucault. Conosce il lavoro di R. Castel sulla valenza ideologica e difensiva delle tecniche psicoterapiche ridotte a forme di consolazione mercificata. Ha ben presente la figura e l’opera di F. Fanon, medico psichiatra nativo della Martinica. Questi, sulla base della sua esperienza personale, evidenzia come l’esprimersi nella lingua dei colonizzatori possa comportare, da parte del colonizzato, l’accettazione/assimilazione dei loro valori che lo riconoscono implicitamente come un subalterno, un disvalore-nero creando una frattura tra la coscienza dell’uomo di colore ed il suo corpo da cui si genera un’alienazione. Il messaggio di Fanon ha permesso di leggere la valenza di sfruttamento similcoloniale di pratiche manicomiali che, in modo mistificatorio, si presentavano come ergoterapia mentre erano di fatto un lavoro coatto, non retribuito, fonte di alienazione. Il riconoscimento del valore del lavoro sancito dall’ art1 della Costituzione, e la contestuale critica dell’ambiguità dell’ergoterapia portò alla costituzione di una Cooperativa di pazienti lavoratori, operando il superamento di quello che in termini psicodinamici poteva essere letto come un alienante meccanismo di identificazione con l’aggressore ed in termini sistemici come un persistente ed altrettanto alienante doppio messaggio. Dopo un soggiorno negli Stati Uniti, dove tiene un ciclo di conferenze nelle Università ed ha una la possibilità di osservare e misurarsi con retaggi dello schiavismo e contraddizioni emergenti di una complessa società avanzata, Basaglia cura assieme alla moglie il volume La maggioranza deviante (1971). I loro contributi, assieme a quelli di R. Laing, D. Cooper, G. Deleuze, F. Guattari, M. Foucault e G. Scalia spostano il focus dell’analisi dal contesto microsociale del manicomio, dove si era sperimentata una pratica medica che intendeva sottrarsi alla logica dell’, ai contesti macrosociali, ai processi di marginalizzazione ed esclusione che caratterizzano la società, modellano la soggettività, mistificano i termini del conflitto (es.: bianco/nero, uomo/donna) e determinano sofferenza psichica. Dopo pochi anni, nel volume Crimini di Pace (1975), Basaglia e la moglie riuniscono le testimonianze di intellettuali con cui hanno sviluppato un dialogo (N. Chomsky, M. Foucault, R. Laing, E. Goffman, T. Szasz) ed offrono una riflessione interdisciplinare, poliedrica che riconsidera il concetto di follia, analizza i molteplici meccanismi di condizionamento psicologico e di repressione che attraversano la società, analizza in termini critici il ruolo degli intellettuali e dei tecnici come funzionari, in parte inconsapevoli, della gestione di una violenza istituzionale allargata, focalizza possibili strategie attraverso cui il tecnico possa prendere coscienza del proprio ruolo, denunciarne le contraddizioni, riformularlo in termini non oppressivi. L’artista ripropone Marco Cavallo, come cifra di ogni mossa creativa per superare la contraddizione presente nell’istituzione e nella società istituente.

(Claudia Balboni “L'irrecuperabilità del malato è spesso implicita nella natura del luogo che lo ospita”)

(Claudia Balboni “L’irrecuperabilità del malato è spesso implicita nella natura del luogo che lo ospita”)

La medicina fin dai tempi di Ippocrate ha evidenziato fattori protettivi e fattori di rischio degli ambienti di vita. Il termine iatrogeno indica l’effetto avverso o comunque collaterale di un’azione terapeutica. La parola malato cronico tende a decontestualizzare il soggetto e la sua traiettoria di vita. L’esperienza del lavoro di deistituzionalizzazione fa toccare con mano come il manicomio fosse una fonte di irrecuperabilità. L’artista riesce a rendere in modo immediato il nesso tra l’irrecuperabilità e dimensione costrittiva dell’istituzione, attraverso la costrizione della parola stessa.

(Paola Marinelli “Entrare fuori. Uscire dentro”)

(Paola Marinelli “Entrare fuori. Uscire dentro”)

I molteplici livelli di interdipendenza delle esperienze umane che concorrono alla impegnano al costante superamento di schemi autoreferenziali. e rendono necessario lo sviluppo di buone pratiche che di fatto sono una radicale ed aperta operazionalizzazione, delle teorie dei sistemi complessi. L’artista propone un originale profilo iconico delle traiettorie antistituzionali: Uscire dalle dinamiche dell’ ripristinando diritti personali. Entrare nella dinamica sociale per rivendicare i diritti di cittadinanza. Un impegno in entrambi i fronti è necessario per evitare scissioni, proiezioni, spostamenti e garantire una prospettiva autenticamente bio-psico-sociale alla cura ed alla riabilitazione del disagio psichico.

(Lola Poleggi “Abbiamo dimostrato che l'impossibile diventa possibile”)

(Lola Poleggi “Abbiamo dimostrato che l’impossibile diventa possibile”)

Dopo l’approvazione della legge 180 Basaglia è chiamato a Roma per coordinare i servizi psichiatrici della Regione Lazio, ma una fulminea neoplasia blocca sul nascere tale progetto. L’artista rappresenta il messaggio che un’Utopia concreta è possibile! I colori non sgargianti sembrano esprimere consapevolezza di possibili dinamiche regressive: il passato può tornare.

(Daniela Di Mase. “Senza accoglienza, ascolto e comprensione non c'è cura, ma controllo ed un simbolico odore di merda”)

(Daniela Di Mase. “Senza accoglienza, ascolto e comprensione non c’è cura, ma controllo ed un simbolico odore di merda”)

Su Fogli di informazione, rivista curata da Paolo Tranchina del gruppo aretino, Antonio Slavich pubblicò un articolo con il seguente titolo: “Una, cinque, novantacinque Gorizie” auspicando che in tutte le provincie italiane si potessero sviluppare buone pratiche per la salute mentale. La frase riportata nell’opera testimonia come Basaglia abbia sempre focalizzato l’incontro come valore prioritario per dissipare il pregiudizio di incomprensibilità che è alla base dei processi di emarginazione e alienazione istituzionale nelle loro diverse espressioni organizzative. Se non c’è dialogo e coevoluzione rimane il controllo che può non avere più la forma del manicomio, ma ne mantiene magari simbolicamente la stessa puzza di mancanza di libertà. La possiamo trovare nelle strutture per che sembrano strutturarsi molto spesso in termini regressivi a fronte di una ridotta capacità di contrattazione relazionale e sociale degli ospiti. La ricchezza di colori e di tecnica dell’opera traducono bene lo spessore e la vitalità del messaggio. Per effetti dei lavaggi è sbiadita la matericità della merda, cifra olfattiva del carcere e del manicomio, ma la traccia simbolica di puzza rimane come segno delle diverse, mistificanti forme di controllo sottotraccia, che rimandano ad una lucida, vitale e costante azione di bonifica. Viviamo in un’epoca in cui gli sviluppi della tecnologia con i conseguenti riflessi sulla soggettività e l’intersoggettività debbono essere accompagnati da una rigorosa riflessione epistemologica ed etica. Epistemologica nel senso di capacità di critica in ordine alla portata ed alla congruenza dei modelli concettuali che usiamo. Ad esempio, l’adesione acritica a modelli diagnostici categoriali, come il DSM V, con l’attribuzione a tale costrutto, convenzionale e congiunturale, di una valenza ontologica può portare ad una riproposizione strisciante, anche in campo psicologico, di un positivismo reificante che eludendo il dialogo, premessa e fondamento della vita psichica in salute e malattia, corre il rischio di descrivere senza comprendere, come la vecchia psichiatria manicomiale o manicomializzante. La relazione di aiuto sul piano psicologico si declina in un campo sociale che ne condiziona necessariamente i profili. La domanda e l’offerta di cura si misurano con bisogni, desideri e limiti, espliciti ed impliciti, consci ed inconsci, di tutti gli attori coinvolti (pazienti, familiari, istituzioni). Ciascuno di noi è deontologicamente impegnato a promuovere una prassi che abbia il dialogo, soggettivamente ed oggettivamente rispettoso dell’Altro, come mezzo e come fine, in tutti i contesti operativi ed al di là delle seduzioni e delle scorciatoie regressive proposte dal “supermarket delle tecniche” sul WEB. In tale prospettiva la testimonianza di Basaglia appare molto attuale e la sua espressione attraverso il codice artistico può essere un incoraggiante e creativo modo per darsi il “cinque” tra generazioni di terapeuti.

 


psichiatra, psicoterapeuta
docente Corso di Laurea in IUSVE
presidente IAAPs

 

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