Saveria Capecchi e Maria Grazia Ferrari presentano i risultati di una ricerca quali-quantitativa sul rapporto tra immaginario, reale e media in cui sono stati coinvolti 268 bambine e bambini di Bologna e Parma. L’immaginario è inteso come dimensione complementare al reale e funzionale a costruire rappresentazioni sociali della realtà. Dai progetti di vita delineati dai preadolescenti emergono le caratteristiche e i valori della società odierna, messi a confronto con con una ricerca analoga svolta dalle stesse autrici nel 1995.
“È il ventidue aprile duemilaquarantuno, il mio adorato cane Foxy mi sveglia abbaiando, gli dò da mangiare e mi preparo per andare a lavorare alla R.C.M.I. che sta per Robotic, Costume, Mascotte, Industry; un’azienda che fabbrica robot con sembianze animali chiamati “animatronics”. Esco di casa e passeggio per le vie di New York City, arrivo in ufficio e lavoro alla progettazione di un robot chiamato Mangle”;
“Sarò uno streamer/youtuber famoso. Vivrò a New York, una città bellissima, la mia casa sarà molto bella, tecnologica, moderna e di lusso. Vivrò con Khaby Lame, Tommaso Cassi e Cristiano Ronaldo. Passerò le mie giornate streammando e facendo live su YouTube con i miei fan”.
Un gruppo di 268 bambine e bambini (dai 10 ai 12 anni) di Bologna e Parma (classe V della scuola primaria e classe I della scuola secondaria di primo grado) immagina la propria vita da adulti: una vita caratterizzata da un mix di elementi ordinari – volta a inseguire la realizzazione professionale, il benessere economico, una stabilità affettiva – e di elementi straordinari, come immaginare di essere famosi come Khaby Lame, il tiktoker più seguito al mondo, o come il calciatore Cristiano Ronaldo, oppure di abitare in una villa con piscina e di vivere in metropoli come New York, Los Angeles o Dubai identificate con la ricchezza e l’innovazione tecnologica.
Obiettivi della ricerca
L’intento principale della ricerca quali-quantitativa, svolta nella primavera del 2021 (in piena emergenza COVID-19) è stato quello di analizzare il rapporto tra l’immaginario di bambine e bambini di un’età compresa tra i 10 e i 12 anni, e l’influenza che su di esso possono avere le varie agenzie di socializzazione (famiglia, scuola, gruppo dei pari, media, ecc.), ponendo particolare attenzione all’ecosistema mediale in cui sono immersi.
Adottando un punto di vista fenomenologico e costruttivista (Berger, Luckmann, 1966), per “immaginario” abbiamo inteso l’insieme delle rappresentazioni elaborate a livello individuale e collettivo, sulla base delle quali tendiamo ad agire nel nostro reale contesto di vita. L’immaginario diventa così una “palestra” in cui esercitare a livello mentale e fantastico ruoli e comportamenti che si possono poi, eventualmente, attualizzare. Secondo questa prospettiva, “reale” e “immaginario” vengono considerate come dimensioni complementari, anziché antitetiche in senso ontologico: il reale perde la sua valenza di oggettività, veridicità e ordinarietà, mentre l’immaginario perde quella di falsità, pura fantasticheria e straordinarietà. Abbiamo dunque considerato l’immaginario come una dimensione strettamente intrecciata al reale ed estremamente importante nella vita degli individui: le fantasie, i sogni e i desideri sono il motore di progetti di vita che in seguito possono realizzarsi concretamente nella realtà.
L’ipotesi principale della ricerca è stata quella di ritenere che i “sogni ad occhi aperti” dei preadolescenti riflettano gli stili di vita, i pregiudizi, gli usi, i costumi, le regole (ossia la cultura) della società contemporanea, nonché l’immaginario collettivo che si sovrappone alla stessa cultura: l’obiettivo è stato quello rilevare le rappresentazioni sociali e mediali che caratterizzano prevalentemente il loro, ma di conseguenza il nostro, immaginario.
A questo scopo, sono stati rilevati anche gli stereotipi (tra cui gli stereotipi di genere), i modelli di riferimento, le credenze, i valori in modo da individuarne la fonte: se appartenenti soprattutto al mondo reale, ordinario oppure a quello prettamente fantastico, straordinario, oppure a quello che abbiamo chiamato della quasi- realtà, dimensione per noi tipica della comunicazione mediale, costituendo questa un mix tra ordinarietà e straordinarietà. In particolare, abbiamo voluto indagare se nei sogni dei preadolescenti prevalgono azioni, personaggi e stili di vita stereotipati e omologati – come quelli proposti dai contenuti dei media maggiormente in voga -, oppure più originali e fantasiosi, il che evidenzierebbe la loro capacità di rielaborare creativamente la realtà in cui sono immersi, nonché l’insieme degli stimoli culturali ricevuti nel contesto di vita in cui sono cresciuti.
Metodologia della ricerca
Al fine di indagare il rapporto tra immaginario, reale e quasi-realtà mediale, ci siamo avvalse di due strumenti che abbiamo somministrato in classe.
1) Un elaborato dal titolo “Un sogno ad occhi aperti…sono passati vent’anni da oggi. Una mattina ti svegli e…prova ad immaginare cosa farai da grande. Quale lavoro farai? Dove vivrai? Con chi vivrai? Come passerai le tue giornate? E cosa farai nel tuo tempo libero?”.
2) Un questionario sull’uso del tempo libero e in particolare sulla fruizione mediale (in particolare sull’uso dello smartphone e dei social).
I risultati emersi dall’analisi degli elaborati e dal questionario ci hanno offerto spunti per comprendere in particolare i valori di riferimento e gli stili di vita che definiscono la subcultura del nostro gruppo di preadolescenti, appartenenti alla cosiddetta Generazione Z.
Nell’analisi è stata data particolare importanza alle differenze di genere, al fine di valutare da un lato l’eventuale presenza di stereotipi e gap di genere, dall’altro gli aspetti che vanno invece in direzione della parità di genere. Sono state considerate anche le differenze di ceto, dal momento che ipotizziamo che quanto più ricco e stimolante sia il contesto di vita in cui si cresce dal punto di vista dell’offerta culturale, tanto più ricca, creativa ed elaborata sarà l’attività immaginativa. Inoltre, sono state evidenziate le peculiarità nei sogni di alcuni preadolescenti migranti di seconda generazione.
I risultati emersi sono stati confrontati con quelli di un’analoga ricerca sull’immaginario preadolescenziale svolta dalle stesse autrici nel 1995, a distanza di 26 anni, in cui erano stati coinvolti 590 bambine e bambini di Milano e Bologna appartenenti alla generazione dei Millennials (Capecchi, Ferrari, 1998).
Risultati in breve della ricerca
A. Risultati emersi dall’analisi dell’elaborato
I racconti relativi alla vita immaginata da adulti rendono conto di alcuni cruciali cambiamenti avvenuti nella società italiana in un quarto di secolo se confrontiamo i risultati emersi nelle due ricerche (1995-2021):
1. Innanzitutto, si notano passi in avanti fatti in direzione della parità di genere, soprattutto per quanto riguarda la dimensione del lavoro immaginata dalle bambine, le quali risultano avere aspettative lavorative piuttosto elevate, al pari dei bambini (lavoro full time svolto con dedizione e passione). Emblematico è il fatto che nessuna/o cita la condizione e il termine “casalinga”. Diverse bambine, inoltre, immaginano di svolgere mestieri che un tempo venivano considerati, prevalentemente, maschili, come: la giudice, la neurochirurga, la regista, la pilota d’aereo, la fantina, la campionessa d’equitazione, la progettatrice di robot.
Permangono comunque stereotipi di genere che si riflettono nelle scelte delle professioni ritenute più adatte alle femmine e più adatte ai maschi: le femmine prediligono i lavori legati alla cura come la dottoressa o la maestra/professoressa, mentre i maschi ai primi posti mettono i calciatori, gli atleti sportivi e i mestieri emergenti come quelli collegati ai lavori digitali e alla robotica (benché questi ultimi, in totale, siano solo il 7%).
Per quanto riguarda la coppia/famiglia: l’immagine della coppia è idealizzata, caratterizzata da rapporti idilliaci: i componenti della famiglia sono generalmente quattro, come era nel 1995, dato che rispecchia un tasso di fecondità immaginato doppio di quello reale. Rispetto alla ricerca precedente aumenta la presenza di animali, pressoché onnipresenti.
A differenza di quanto era emerso nel 1995, la maggior parte delle bambine non cita la professione del marito/compagno, dal momento che nessuna immagina di farsi mantenere, attestando il desiderio di indipendenza economica e di affermazione professionale in nome della parità di genere. Rimane il “nodo” dei lavori domestici e della cura dei figli non equamente divisi tra maschi e femmine nemmeno nella fantasia: si tratta di responsabilità di cui si fanno carico, ancora una volta, soprattutto quelle bambine che si proiettano nel ruolo di mogli e madri. In compenso emerge un forte desiderio di paternità espresso dai bambini.
Nel dettaglio, abbiamo rilevato che circa la metà delle bambine e dei bambini, proiettandosi nel futuro quando avranno trent’anni, si immagina sposata/o: il 49% (48%F-50%M). Il 21% si immagina invece fidanzata/o (20%F-23%M). Si pensa dunque in coppia il 70% dei preadolescenti. Una coppia prevalentemente con figli (nel 76% dei casi), rigorosamente eterosessuale (un solo bambino allude all’omosessualità: “suppongo di vivere con mia moglie se non sarò gay”). Il 15% del nostro gruppo immagina invece di vivere da sola/o. Questo è il caso, soprattutto, di chi vive a Parma (22%F-18%M) piuttosto che a Bologna (7%F-12%M). Il 12% vorrebbe vivere con amici/amiche. Solo il 2% vorrebbe vivere con fratelli/sorelle, cugini/e o con i genitori.
In entrambe le città, la quasi totalità di chi si pensa sposata/o immagina di avere figli (87%): si tratta di un binomio (matrimonio+figli) ancora consolidato nell’immaginario collettivo. Tuttavia, sogna di avere dei figli la metà di chi si pensa fidanzata/o (51%), condizione che sembra essere considerata un’alternativa al matrimonio piuttosto che una tappa in vista della formalizzazione dell’unione.
2. Si ravvisa dunque una cultura della libera scelta relativa alla dimensione affettiva: rispetto alla ricerca condotta nel 1995, nel 2021 diminuiscono i matrimoni immaginati (dal 65% nel 1995 al 49% nel 2021; -16 punti percentuali),) e aumentano le coppie di fatto (dal 5% nel 1995 si passa al 21% nel 2021; + 16) che nella metà dei casi contemplano l’avere figli senza accennare a un futuro matrimonio.
Circa la metà dei preadolescenti – considerando i fidanzati e chi vivrà da solo/a, con amici/amiche o con genitori/altri parenti – dipinge una famiglia “sganciata” dalla tradizione e dall’istituzione matrimoniale: la libertà di scelta implica il fatto di non sentirsi condizionati/obbligati a convivere con qualcuno o meno, di sposarsi o meno, di avere figli o meno.
Frasi di bambini: “vivo da solo, ma ho una fidanzata”, “vorrei vivere con la mia futura compagna, ma non sposarmi”, “troverò una ragazza che forse successivamente diventerà mia moglie”, “vivrò da solo, ma spero nel corso degli anni di trovare la mia anima gemella”.
Frasi di bambine: “vivrò da sola con il mio cane, non voglio avere bambini”, “vorrei convivere con qualcuno, non per forza uniti in matrimonio”, “vivrò forse con un fidanzato, mai e poi mai con un marito”, “vivo con i miei figli e una coinquilina”, “voglio vivere con le amiche, forse adotterò un bambino”, “vivo con il mio fidanzato e mia figlia, forse mi sposerò”, “da grande (se trovo l’anima gemella) vorrei vivere con il mio ragazzo, il mio cane, un gatto e magari anche un po’ di pesciolini”.
In generale, si nota un grande spirito di indipendenza e desiderio di autonomia espressi soprattutto dalle bambine, specie quelle di Parma (tra le sposate 65%BO- 32%PR; tra chi vuole vivere da sole 7%BO-22%PR; tra chi vuole vivere con le amiche/amici 6%BO-23%PR; a Bologna vogliono avere dei figli il 70% delle bambine, a Parma il 41%.
Molto importante, come detto, è la presenza di animali, visti come completamento della famiglia o come compagnia indispensabile nel caso di chi vorrebbe vivere da solo/a. Circa il 40% dei preadolescenti, con una leggera prevalenza delle bambine in entrambe le città, sogna di avere uno o più cani (68%), sia cani che gatti (18%), oppure uno o più gatti (14%).
3. Analizzando poi in generale quanto scritto dai bambini/e coinvolti nella ricerca colpisce il mutato scenario mediale e tecnologico. Nel 1995 l’immaginario preadolescenziale appariva influenzato soprattutto da programmi e personaggi televisivi, nel 2021 questi vengono sostituiti perlopiù dai personaggi che popolano i social: youtuber/influencer e personaggi del mondo dello spettacolo e dello sport (che spesso sono influencer).
Sempre dall’analisi degli elaborati, in sintesi, abbiamo identificato sei tipi di “sogni”, ovvero sei affreschi di vita futura. Fra questi, prevale il sogno da noi denominato “iperrealistico” (52%) – richiamandoci alla corrente pittorica sorta negli USA negli anni ’70 in cui gli elementi della realtà venivano raffigurati in maniera estremamente meticolosa; come molti preadolescenti fanno quando descrivono la loro routine quotidiana con tanto di orari o le stanze della loro casa. A seguire abbiamo il sogno di “bellezza, ricchezza e fama” (32%), e infine vi sono quattro sogni minori per quantità, ma più fantasiosi e originali, espressi per lo più da preadolescenti appartenenti al ceto medio/alto: il “sogno ecologico/naturista” (6%), il “sogno spaziale e delle nuove tecnologie” (5%), il “sogno dell’esploratrice e dell’esploratore” (3%), il “sogno della scienziata e dello scienziato” (2%).
Il racconto seguente di una bambina di Parma, futura cantante, racchiude in sé gli “ingredienti” più desiderati da chi sogna “bellezza, ricchezza e fama”:
“vorrei vivere in una villa gigante con il mio vero amore, vorrei che tutto il mondo mi conoscesse, vorrei diventare famosissima…vorrei che la mia vita fosse perfetta, con una famiglia perfetta, una casa perfetta…Inizialmente diventerò famosa mettendo i video su Youtube, e dopo spero di entrare in un programma televisivo famoso…Sono indecisa su dove vivere…vorrei vivere a New York perché lì ci sono molti cantanti famosi, ma anche a Milano perché ci sono i miei youtuber preferiti”.
Rispetto al 1995, nel 2021 aumenta il “sogno” di “bellezza, ricchezza e fama” e diminuisce il sogno iperrealistico”. Inoltre, diminuiscono i tratti più fantastici in tutti i tipi di sogni, intendendo per fantasia quella capacità di rielaborazione creativa e originale della realtà. Questa carenza di fantasia è compensata in parte da un forte desiderio di viaggiare – alimentato, probabilmente dalle/dagli stessi youtuber/influencer -, sia per moda sia per genuino desiderio di esplorare il mondo.
E ancora, a confronto con la ricerca del 1995, nel 2021 emerge più impegno sociale, più ecologismo, più amore per gli animali, attenzione ai diritti civili, alla disabilità, all’emarginazione, alla povertà, per finire con il desiderio di curare chiunque sia “in difficoltà” (una sensibilità che probabilmente si è acuita con la pandemia) e, in generale, il desiderio di migliorare il mondo. Si può ipotizzare che siano i social ad enfatizzare i tratti suddetti in quanto, oltre a veicolare valori come ricchezza, bellezza e fama, sicuramente diffondono molte informazioni su temi d’attualità.
B. Risultati emersi dal questionario sull’uso del tempo libero
Dalle risposte dei bambini e delle bambine si rileva che il possesso del primo smartphone avviene per lo più tra i 10 e gli 11 anni, durante il passaggio dall’infanzia alla pre-adolescenza. Questa generazione iperconnessa grazie allo smartphone riesce: ad accedere al magico mondo dei social; ad informarsi (anche rispetto a questioni legate all’identità di genere, dato che le/gli influencer diventano modelli di ruolo); a rendersi più liberi di andare in giro da sole/i, guadagnando in autonomia dai genitori, che risultano rassicurati dal fatto di poter contattare i figli in (quasi) ogni momento. Queste possibilità e opportunità favoriscono il fenomeno dell’adultizzazione precoce, già per altro avviato dai media tradizionali, cosicché bambini e bambine accedono precocemente a contenuti un tempo riservati agli adulti. Inoltre, indipendentemente dall’età, si arriva a seguire un medesimo stile di vita e si adottano simili abitudini di consumo: oggi lo stile di vita che accomuna generazioni differenti contempla in particolare l’uso dei social.
I preadolescenti hanno uno o più account soprattutto su YouTube, TikTok, Snapchat, Instagram e Twitch. Ed è nel passaggio dalla scuola primaria alla scuola secondaria di primo grado che – grazie al possesso dello smartphone -, l’attenzione tende a spostarsi dai contenuti diffusi dalla tv ai social.
Se i personaggi social hanno in buona misura sostituito il genere dell’intrattenimento televisivo, la tv non scompare dalle abitudini di fruizione mediale dei preadolescenti: cartoni animati, film, serie televisive e programmi comici rimangono prodotti mediali molto amati e sempre più fruiti tramite le piattaforme di streaming on demand e le pay tv. Anche la lettura di libri e fumetti non viene del tutto soppiantata dai social: dalla ricerca risulta che circa la metà dei nostri intervistati, soprattutto le bambine, legge un po’ tutti i giorni; si presume che questa propensione sia in buona misura dovuta all’impegno profuso dai/lle docenti. I generi letterari e cinematografici preferiti in assoluto, sia dai maschi sia dalle femmine, sono risultati essere quelli dell’avventura, del fantasy e del comico. All’aumentare dell’età diminuisce comunque il tempo dedicato alla tv e alla lettura e aumenta quello dedicato ai social.
In generale, le risposte dei bambini e delle bambine confermano gli stereotipi di genere, dal momento che le femmine amano di più le attività espressive come la lettura, la musica, il canto, oltre allo shopping, mentre i maschi preferiscono i videogame e lo sport.
Riflessioni conclusive
Possiamo affermare che la subcultura dei preadolescenti è caratterizzata da valori e desideri riguardanti l’amicizia, il desiderio di realizzarsi, di essere ricchi, belli e famosi, l’amore per la famiglia, l’avventura, i viaggi, le lingue straniere, lo sport, il gioco e il divertimento. Inoltre, fra i valori emergenti, troviamo quello della parità di genere, dell’inclusione, dell’altruismo, dell’amore per gli animali e la natura, dell’ecologismo.
Abbiamo poi rilevato che chi appartiene ad un ceto medio/alto vive in un contesto più ricco di stimoli culturali – quali la lettura e la frequentazione di corsi di sport e musica -, chi appartiene a un ceto medio/basso, invece, “visita” un po’ di più i social. A Bologna, infatti, città in cui il ceto della famiglia è mediamente più elevato, si legge di più e si fa più sport, mentre a Parma si svolgono di più le attività legate ai social. Differenze che si riflettono anche nel tipo di vita futura prefigurata: i/le bolognesi tendono a prediligere il “sogno iperrealistico” e quello “ecologico/naturista”, mentre i/le parmensi il “sogno di bellezza, ricchezza e fama” e quello “spaziale e delle nuove tecnologie”. L’ipotesi che azzardiamo al riguardo è che guardare assiduamente i contenuti pubblicati da youtuber/influencer alimenti i sogni di “grandezza”, bellezza e fama, nonché il desiderio di ottenere un successo professionale che oggi pare essere “alla portata di tutti”.
Considerando in particolare le differenze tra le femmine, le bolognesi sono più orientate verso il “sogno iperrealistico” (+17 punti percentuali), mentre le parmensi verso quello di “bellezza, ricchezza e fama” (sempre +17). Le parmensi, oltre ad essere molto meno propense a formare una famiglia rispetto alle bolognesi, paiono dunque più edoniste, centrate su se stesse e indipendenti, quali vere interpreti del processo di individualizzazione femminile che vede le donne inseguire il sogno della parità di genere, rimanendo pur sempre, e al tempo stesso, “vittime” o “complici” del mercato nel momento in cui, in un’ottica postfemminista (un mix di principi e valori sia femministi sia antifemministi), si concentrano su progetti di vita individuali che contemplano in buona misura il consumismo (McRobbie, 2004; Gill, 2007).
Rispetto alla ricerca del 1995, come detto, il “sogno di bellezza, ricchezza e fama” è aumentato e al contempo è diminuito quello “iperrealistico”. Complice, ipotizziamo, l’influenza degli/delle influencer con il loro stile di vita glamour esibito sui social, dove troviamo case “da sogno”, viaggi e shopping sfrenato, corpi snelli, muscolosi e tatuati. Si rileva inoltre un calo di fantasia, ovvero una minore presenza di elementi prettamente “fantastici” e “straordinari”. Tende a predominare il realismo, e il solito desiderio di ricchezza, bellezza e fama. Si può ipotizzare a tale proposito che i social “rubino tempo” ai media tradizionali “svuotando” la capacità di fantasticare, considerando il fatto che sui social tutto è svelato e “messo in vetrina”, dal corpo denudato alle vicende e ai pensieri più intimi (Codeluppi, 2021).
In compenso, nel 2021 vi è un incremento del valore della parità di genere, espresso soprattutto dalle bambine, ma anche dai bambini che non sognano più, come spesso avveniva nel 1995, di tornare a casa dal lavoro e trovare la cena pronta preparata dalla moglie “casalinga”. Inoltre, si ravvisa più impegno sociale e solidarietà nei confronti delle persone emarginate, povere o in difficoltà, sia da parte delle femmine che dei maschi, oltre ad un maggiore desiderio di viaggiare e di esplorare il mondo.
Saveria Capecchi
(Docente di Sociologia dei media e della comunicazione,
Università di Bologna)
Maria Grazia Ferrari
(Docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi,
Università di Parma)
La ricerca è pubblicata integralmente nel volume: Saveria Capecchi e Maria Grazia Ferrari, L’inventrice di robot e lo youtuber, Franco Angeli, 2023.
Riferimenti bibliografici
Berger P.L., Luckmann T. (1966), The Social Construction of Reality: A Treatise in the Sociology of Knowledge, Anchor Books, New York (tr. it.: La realtà come costruzione sociale, il Mulino, Bologna, 1969).
Capecchi S., Ferrari M.G. (1998), Una baby-sitter a Beverly-Hills. Immaginario, media e dintorni: le rappresentazioni di bambini e bambine, Franco Angeli, Milano.
Codeluppi, V. (2021), Vetrinizzazione. Individui e società in scena, Bollati e Boringhieri, Torino.
Gill R. (2007), “Postfeminist Media Culture: Elements of a Sensibility”, European Journal of Cultural Studies, 10 (2): 147-66.
McRobbie A. (2004), “Post-Feminism and Popular Culture”, Feminist Media Studies, 4, 3: 255-64.
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