Riprendiamo il ricordo di Franco Rotelli, scomparso il 16 marzo 2023 a Trieste, scritto da Benedetto Saraceno e pubblicato su “Salute Internazionale”.
Collaboratore di Franco Basaglia, dal 1979 al 1995, Rotelli è stato direttore del Dipartimento di Salute Mentale di Trieste. Nel 1998 è diventato Direttore Generale dell’Azienda Sanitaria di Trieste, ruolo che manterrà per una decina d’anni. Per il PD ha presieduto la Commissione sanità della Regione FVG. È stato consulente dell’Oms per lo sviluppo della riforma psichiatrica in Argentina, Brasile e Repubblica Dominicana.

Alla fine del mio primo mese di volontariato a Trieste, come giovane medico, nel 1976, un giorno incrociai Franco Rotelli, primario del reparto F ove lavoravo. Brusco come d’abitudine mi chiese come mi mantenevo e dove alloggiavo. Dormivo in ospedale e, gli dissi, vivevo con i soldi di mia moglie che era rimasta a Milano. Rotelli cavò fuori dalla tasca un cartoccio di banconote appallottolate e ne prese un po’, tante, me le mise in mano. Mi disse che aveva appena preso lo stipendio e che si trattava di una «ripartizione comunista». Se ne andò ridacchiando. È cominciato così il mio lungo sodalizio con Franco Rotelli, dapprima come intimidito allievo e, in seguito, come amico, ma anche e sempre, allievo. Per quarantasette anni. Ho evocato quel gesto brusco di generosa bontà per ricordare la virtù principale di Franco, la bontà. Qualcuno, forse molti, si è lasciato spaventare dalla sua brusca intransigenza, dalla implacabile conflittualità, dalla durezza di molti scontri verbali. Tutte queste, ricordiamolo, sono state, spesso strategie pedagogiche e, a volte, semplici maschere della sua timidezza. Ma tutte quelle forme di violenza dialettica erano sempre al servizio della ricerca delle strade del bene e, insisto nell’usare questa parola, della bontà. Infatti, la cattiveria segue strade dirette, viaggia veloce e si diffonde come benzina incendiata e conquista cuori e intelligenze producendo sofferenze, ingiustizie e stupidità. Al contrario, le strade della bontà sono tortuose, lente e faticose cosicché, con tempi lunghi e lavoro doloroso, generano benessere, giustizia, libertà e bellezza.

Perché a questo credeva Franco Rotelli: che si dovesse compiere un lavoro quotidiano, meticoloso, instancabile, fatto di incontro, di attenzione, di ascolto, di curiosità, di alleanze e di sinergie. Franco Rotelli riuniva in sé il buon senso amministrativo di Carlo Rotelli, suo fratello e amatissimo sindaco di Casalmaggiore e il discernimento di Gian Giacomo Rotelli, suo fratello e padre gesuita. Tali doti hanno forgiato la sua straordinaria capacità di costruire pratiche collaborative fra le persone e le istituzioni. Il discernimento, che «non accetta di sottomettersi alla schiavitù della paura di scegliere e sa di non potersi affidare a una serie di norme e comportamenti già scritti…», così scrive proprio il gesuita Rotelli[1], ha accompagnato, come indispensabile complemento, la radicale libertà di Franco Rotelli.

La libertà nell’immaginare e mettere in pratica l’incontro e la collaborazione fra persone diverse, artisti-medici-artigiani-utenti, nel fare nascere sinergie fra sanità e welfare, fra amministrativo e tecnico, fra privato e pubblico: sono tutti incontri e collaborazioni che si caratterizzavano per una decisa rinuncia a mantenere in modo difensivo le separatezze istituzionali, le separatezze disciplinari e le identità definite una volta per tutte, e questo in vista del Bene Comune. Si tratta infatti, per Rotelli, di cercare il buono che c’è in tutti e nei ciascuni, con il fine di «impastare» continuamente, il pane della bontà, della giustizia, della liberazione e della bellezza. E, ci dice Rotelli, tutto questo si può fare con il semplice buon senso che però continui a dichiarare, instancabile, che il re è nudo.

Insieme, cercammo, una volta, quarantasette anni fa, un uomo che viveva e abitava in ospedale, a San Giovanni, un paziente, un degente, un utente o come si voglia chiamarlo. Lo cercavamo perché era scomparso da giorni e Rotelli non si dava pace. Lo trovammo nel sottotetto di un reparto disabitato, nascosto nel buio, spaventato, rifugiato. Franco, chinatosi sull’uomo, lo prese fra le braccia e, come a un fratello disse «Ma perché… dove ti sei venuto a cacciare» e gli parlava con tenerezza, contento per averlo ritrovato come se, alla fine, proprio di questo sempre si tratti: di cercare l’altro anche quando le vicende dolorose della vita lo allontanano, lo isolano, lo fanno scomparire. Cercare, ritrovare, riportare le persone nella comunità umana, con infinita pazienza, con rispetto e discrezione, con l’ottimismo di chi crede che il buono c’è e si tratta di scovarlo, costi quello che costi. Quello di Rotelli è stato un percorso politico alla ricerca della umanità e alla sua continua fioritura, come fossero le sue amate rose di San Giovanni. Agire per alleviare il dolore e il malessere della gente.

Ma è necessario operare fuori dalla psichiatria e i buoni servizi territoriali devono essere l’ultima trincea per evitare la stupidità normativa e coercitiva della psichiatria dei SPDC e delle residenze. È necessario attivare reti della vita quotidiana, bisogna collegare e sinergizzare, come in un grande rammendo, le miriadi di briciole di bontà, di bellezza e di moralità. Soltanto da questa «sinfonia» collettiva possono nascere le lotte politiche, per costruire la democrazia profonda, la democrazia dal basso. La politica c’è stata sempre nella vita di Franco, come il vettore indispensabile perché teorie e pratiche della liberazione potessero diventare visibili e diffuse.

Franco era scettico sulla possibilità di una conoscenza, e dunque una scienza, della soggettività: non inseguire la chimera di una scienza del soggetto perché il soggetto resta inconoscibile. Piuttosto, era convinto della necessità di una pratica dei corpi e dei bisogni. Si tratta di accogliere, di ascoltare, di trattare con bontà, di proporre strade concrete che rendano meno dolorosa la quotidianità.

Mercoledì 8 marzo ho parlato a lungo e per l’ultima volta con Franco Rotelli, insieme ad altri amici. Quando siamo rimasti soli, al momento di congedarmi, mi ha detto: «Se si trattano bene, i matti, sì, ma anche tutti gli altri, i bambini, gli uomini e le donne, se non si fanno cattiverie, allora succedono molte cose: emergono bisogni, si formulano desideri, nascono affettività»

Ecco, la pratica del bene-agire-per-il-bene, come progetto politico, come motore generatore di affetti, di giustizia, di libertà e di bellezza.

Benedetto Saraceno
Segretario Generale Lisbon Institute of Global Mental Health

_____________________________________________

  1. Rotelli Gian Giacomo. Alcune brevi riflessioni sul discernimento trasmesse da padre Gian Giacomo Rotelli a margine di una riunione con una Cvx di Roma, giugno 2020.