Marie Françoise Delatour esprime la propria posizione sul significato e l'obiettivo della di utenti e familiari nei percorsi di coprogrammazione e dei servizi di , in contrasto con la visione proposta in questo articolo di Luca Negrogno.

Colgo volentieri l'invito di ad esprimere un commento alla lettura dell'articolo di Luca Negrogno. Ho riletto più volte l'articolo prima di riuscire a scrivere questo piccolo commento.
Ho apprezzato i riferimenti ampi alle esperienze internazionali e lo sforzo di presentare un quadro d'insieme documentato su questo tema oggetto di pochi approfondimenti.
Tuttavia sin dal titolo l'articolo mi è sembrato enigmatico.
I Servizi non vogliono “dare potere” a utenti e familiari? Oppure utenti e familiari non sono capaci di prendere ed esercitare il “loro potere”? Quale è il problema?

I sentimenti che mi sono emersi dalla lettura sono stati alternativamente di sorpresa, di incredulità e di grande tristezza per alcune affermazioni nelle quali non mi sono riconosciuta, che risultano secondo me lontane dalla realtà della .

Quando si guarda alla dal punto di vista dei diretti interessati, dal punto di vista dei familiari come nel mio caso, l'obiettivo del proprio impegno di volontariato non mira prima di tutto ad acquisire o difendere un potere, come se esistessero poteri contrapposti oppure interessi divergenti in campo.

Per me è più che evidente che le forze in campo siano assolutamente dispari, che gli utenti e i familiari che si impegnano nei percorsi di , coprogrammazione o siano davvero pochi, che non abbiano le competenze per concettualizzare dei modelli epidemiologici perché questo non è il loro obiettivo, o che “non facciano il peso” nei confronti della struttura organizzativa delle AUSL; non può essere diversamente, sarebbe utopico aspettarselo.

La attuata dai diretti protagonisti (utenti e familiari) non ha per obiettivo diretto quello di riformare i modelli della sanità o dei servizi sociali, per questa esiste la politica che dispone di ben altri mezzi. La dimensione politica esiste in tutte le attività ed è molto importante, non lo vogliamo negare; anche la partecipazione deve avere delle ricadute positive, può contribuire all'evoluzione dell'organizzazione dei servizi; ma da sola la partecipazione può ben poco.

A me, familiare impegnata da anni nei percorsi di partecipazione, la lotta dei poteri in sé interessa poco, non si tratta di contrapporre il potere degli utenti e dei familiari al potere dei medici; si tratta piuttosto, laddove esistono le condizioni, di portare la nostra sensibilità ed il nostro contributo di conoscenza delle esigenze e di idee per risolvere problemi concreti vissuti a livello locale. L'obiettivo è quello di collaborare e guardare assieme nella stessa direzione, quella degli utenti, anzi che farsi una tra operatori e familiari mentre nessuno guarda gli utenti.
Può sembrare poco, cosi non si fa di certo la rivoluzione. Tuttavia cosi si contribuisce a fare evolvere le mentalità, a raggiungere e consolidare prassi nuove, ruoli nuovi, con tanta fatica.
Per questo l'articolo mi sembra ingeneroso nei confronti dei familiari. Condivido la descrizione della situazione attuale di grande insufficienza di sviluppo dei processi partecipativi, e di ruolo marginale che abbiano attualmente; non condivido il giudizio di valore che ne deriva, parlare di subalternità mi sembra del tutto inappropriato.

Per quanto riguarda il percorso di crescita professionale degli utenti, ritengo importante fare il massimo affinché ciascuno possa esprimere i propri talenti e possa trovare una situazione lavorativa adatta ai propri desideri e capacità. Tuttavia mi sembra utopico e menzognero affermare che gli Esperti per Esperienza possano un giorno su grande scala essere equiparati al ruolo dei professionisti dei servizi. Vorrebbe dire che la malattia mentale è stata sconfitta, che gli utenti guariti hanno raggiunto un tale livello di consapevolezza e di competenze relazionali da diventare essi stessi terapeuti. Per quanto mi riguarda, non ho ancora conosciuto un utente che abbia realizzato una tale metamorfosi. Esiste sicuramente da qualche parte ma sarà una mosca bianca, non credo possa diventare una meta per la maggioranza degli ESP. So che questo mio pensiero farà scalpore perché va controcorrente, ma preferisco essere “vera” e leale piuttosto che contribuire ad intrattenere delle illusioni che creeranno immancabilmente ulteriori frustrazioni.

Ho vissuto questo articolo come l'espressione non senza presunzione di una persona che guarda e giudica le cose dall'esterno, con il parametro prevalente dell'ideologia. L'etichetta di “nuovi funzionari del consenso” può risultare appagante a chi scrive, ma oltre ad essere ingenerosa, non corrisponde né alla realtà dei processi in corso né ai risultati concreti che poche persone impegnate a livello di volontariato hanno potuto comunque raggiungere in questi anni grazie a percorsi di partecipazione anche marginali.

Personalmente penso che poco è meglio di niente. Ne vale la pena per le centinaia di persone che hanno potuto esprimersi spesso per la prima volta, hanno potuto confrontarsi, hanno anche potuto iniziare ad utilizzare un potere personale che non sapevano di avere. Per fare evolvere una situazione organizzativa ingessata ci vuole tempo, impegno, energia, capacità organizzative e amministrative; ci vuole anche una volontà convergente tra operatori, utenti e familiari, con il sostegno attivo della dirigenza dei servizi. Questi contesti favorevoli allo sviluppo della partecipazione non sono purtroppo diffusi in Italia, e non si creano “per legge”.

Marie Françoise Delatour
Presidente Associazione Cercare Oltre APS
ex-Presidente CUFO