Proponiamo questo mese un altro post di , responsabile dell'Osservatorio di ricerca sul femminicidio dell'Università di Bologna – che pone alcune riflessioni sulla scomparsa di Saman Abbas, la diciottenne di famiglia pakistana che si è opposta ad un matrimonio imposto dai genitori. La vicenda è in questi giorni al centro dell'attenzione dei locali e nazionali: si sta cercando il corpo perché si presume sia stata uccisa dagli stessi famigliari, al momento irreperibili: ma vi sono altri interrogativi che dobbiamo porci nel momento in cui misure di accoglienza e di contrasto alla , pure adottate nel nostro Paese, non sembrano funzionare in modo efficace.

Mentre scriviamo, la cronaca racconta di Saman Abbas, una ragazza di 18 anni, di famiglia pakistana residente a Novellara in provincia di Reggio Emilia, scomparsa da oltre un mese. L'ipotesi degli inquirenti è che sia stata uccisa dallo zio perché rifiutava di accettare le nozze combinate. Persino la Commissione d'inchiesta sul in Senato apre un'inchiesta; la senatrice Valente, che la presiede, dichiara sgomento circa l'eventualità «che una giovane donna possa rischiare la fine che temiamo abbia fatto Saman Abbas, soprattutto dopo aver cercato di salvarsi, chiedendo ripetutamente aiuto alle istituzioni del nostro Paese».

Ancora una volta nella primavera 2021 in terra emiliana una giovane donna scompare, in apparenza complice la migrazione.

La cronaca nazionale – diversamente da quanto accaduto lo scorso maggio a Emma, studentessa camerunense dell'Università di Bologna uccisa dal fidanzato – segue seppur con ritardo la vicenda di Saman: forse perché il giallo è ancora in corso (nessun cadavere è stato sino ad oggi trovato) – e dunque ben si presta al noto fenomeno della «settimanalizzazione» della notizia – e forse anche perché sembra fornire un sapore esotico a cose che appaiono essere poco tipiche di casa nostra.

Perciò, ostentando circospezione nel non evocare quasi mai in modo esplicito un giudizio di superiorità su ciò che si suppone ci sia a monte (tradizioni vetuste di popoli arretrati), si narra il susseguirsi di «fatti», ricostruiti anche pubblicando SMS privati o  brevi video furtivi acquisiti dalle forze dell'ordine.

Una nota giornalista s'interroga anche sul «comportamento delle », quasi fosse colpevole il non sottrarsi ai vincoli imposti con violenza fisica e simbolica.

La cronaca, di per sé, ci parla poco, invece, dei vincoli imposti a Saman da carenze normative e informative che non sembra prevedano iter particolari per sottoposte a chiare violazioni della convenzione di Istanbul ratificata dal nostro Paese contro la violenza sulle . Maggiorenne e senza documenti si ha poco spazio per muoversi. E se i tuoi documenti sono nella proprietà dei tuoi potenziali aguzzini pensare che debba esistere un percorso istituzionale o una possibilità di ottenere risposta immediata dalle forze d'ordine sembra essere ancora oggi un sogno irrealizzato.

La cronaca, di per sé, si attarda sulla descrizione pur sommaria di una famiglia di religione islamica e di tradizione pakistana, quasi il problema fosse la religione o un senso dell'onore supposto come a noi estraneo, o la «mostruosità» di un uomo accecato dalla tradizione. Ma non ci informa molto sul contesto sociale che a Novellara come altrove in Italia rende tutto questo talmente reale da far rilevare in una ricerca di 4 anni fa l'esigenza urgente di adottare misure di accoglienza e di contrasto alla violenza che non ha a tutt'oggi incontrato risposta adeguata.

Possiamo certo sperare che Saman sia ancora viva seppur prigioniera, da qualche parte. O purtroppo possiamo ritenere sia molto probabile che la sua giovane vita sia stata spezzata dall'ennesimo aggressore maschio. In entrambi i casi, sia chiaro che accade qui, fra di noi.

Noi, tuttora e quasi ovunque impregnati – anche nel difetto o eccesso di talune norme – di luoghi comuni patriarcali che con forme e gradazioni diverse considerano il corpo di una donna oggetto del desiderio di possesso maschile, sino al gesto estremo del marchio di proprietà: l'uccisione. Nel nostro paese, in meno di 6 mesi nel 2021 hanno già perso la vita per mano maschile più di 6 al mese.  Complice la disuguaglianza di genere, non la migrazione.

Pina Lalli
Docente di Sociologia della
comunicazione
Responsabile dell'
Osservatorio di ricerca sul Femminicidio