“salute mentale per Tutti: Più investimenti, più accesso. Per tutti, ovunque”.
Il 10 ottobre si celebra in tutto il mondo la “Giornata mondiale della salute mentale”. Il motto scelto quest'anno dalla Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è “Mental Health for All. Greater Investment – Greater Access. Everyone, everywhere” , cioè salute mentale per Tutti: Più investimenti, più accesso. Per tutti, ovunque”. E' un invito all'azione rivolto ai vari stakeholders dei paesi membri ed evidenzia la necessità di effettuare maggiori investimenti nella salute mentale a livello globale e di garantire l'accesso ai servizi ovunque e per tutti. Ma – come ricorda il documento del luglio 2020 presentato all'Assemblea generale delle Nazioni Unite – nessun investimento sulla salute mentale sarà efficace senza tenere in considerazione seriamente i diritti umani. Questo perché “non ci può essere salute mentale senza diritti umani”.
Let's invest: le ragioni dell'appello dell'OMS a maggior investimenti nella salute mentale sono basate sull'evidenza che la salute mentale è una delle aree della salute pubblica più trascurata e dimenticata, reduce da anni di tagli consistenti e di cronica insufficienza negli investimenti nel campo della promozione, prevenzione e cura molto prima della pandemia. Eppure, come ci ricorda il documento OMS *, i numeri sono impressionanti: nel mondo vivono circa 1 bilione di persone con un disturbo mentale, 3 milioni muoiono ogni anno per le conseguenze nocive dell'alcol e si registra un suicidio ogni 40 secondi. Attualmente, sappiamo che milioni e milioni di persone sono stati colpite dal COVID-19, con conseguenze sulla loro salute mentale che cominciano già ad evidenziarsi nel breve e medio periodo. Relativamente poche persone nel mondo hanno accesso a servizi di salute mentale di qualità e convenienti, mentre continuano a diffondersi stigma, discriminazioni e violazione di diritti umani: la pandemia ha ridotto ulteriormente l'accesso ai servizi, a causa della diffusione del virus nelle strutture residenziali che ha portato alla chiusura di tali strutture e alla loro conversione in servizi per persone con COVID-19. I Paesi spendono in media solo il 2% del loro budget sanitario sulla salute mentale, nonostante sia noto che per ogni dollaro investito nel trattamento di alcuni disturbi, quali ansia e depressione, c'è un ritorno di 5 dollari in maggior salute e produttività. Senza impegni seri nell'aumento di investimenti sulla salute mentale subito, le conseguenze sanitarie, sociali ed economiche saranno enormi, ha detto il Dr Ghebreyesus, Director-General dell'OMS.
Il cambio di paradigma e il miglior investimento delle risorse: Ma non si tratta solo di investire più denaro: occorre anche un cambiamento di paradigma culturale. Nel Report presentato a luglio 2020 all'Assemblea Generale delle nazioni Unite dallo Special Rapporteur Dainius Pūras,“Il diritto di ognuno di godere del più alto livello possibile di salute fisica e mentale” , si afferma chiaramente che “Non c'è salute senza salute mentale e non c'è buona salute mentale senza un approccio basato sui diritti umani: C'è un bisogno urgente di investire di più sulla salute mentale. Tuttavia il denaro non è l'aspetto più importante nella discussione sulla salute mentale: c'è un valore intrinseco e universale nel sostenere la dignità e il benessere: si tratta di un imperativo di diritti umani”.
Dello stesso avviso un documento redatto da molte organizzazioni che in questi anni si sono impegnate per affermare il diritto universale alla salute e alle cure, e che oggi intendono segnalare alcune priorità per spendere bene le risorse pubbliche per il rilancio dell'Italia e individuare una linea per il buon uso dei finanziamenti europei, finalizzati soprattutto all'assistenza sanitaria sociale territoriale. Il testo, che sta raccogliendo in queste ore numerose adesioni, si intitola: “Finanziamenti europei per l'emergenza, usarli bene, priorità: assistenza/servizi sociali e sanitari territoriali”. In particolare si sottolinea che: “È evidente che il modello che separa Sanità da sociale, fondato prevalentemente sul “ricovero”, sia in ospedale che in altre strutture residenziali come le Rsa, ha dimostrato enormi limiti. E' invece diritto di ogni persona vivere e curarsi nella propria comunità, con il sostegno dei servizi domiciliari e territoriali. Ciò è più efficace e sicuro, a maggior ragione quando la persona è più vulnerabile: anziana e non autosufficiente, con malattie croniche, con problemi di salute mentale, di dipendenze, detenuta, migrante, ecc.). È necessario si affermi in maniera compiuta un modello di “salute di comunità” indispensabile per la stessa continuità assistenziale tra ospedale e welfare territoriale e per l'integrazione tra Sanità e sociale. Occorre perciò investire per una forte infrastrutturazione dei servizi territoriali, una loro solida modellistica, ragionevolmente omogenea su tutto il territorio nazionale, una ben più robusta attenzione ai determinanti sociali della salute”.
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