Premessa: il percorso per affermare la come tema di salute pubblica

In un lento e faticoso percorso durato circa 30 anni le maggiori istituzioni sanitarie internazionali (l'Organizzazione Mondiale della Sanità, varie Commissioni Europee sui temi della , numerosi e prestigiosi centri di ricerca) sono giunte a definire un modello di Globale che si allontana sempre più dalla definizione biomedica della malattia psichiatrica e va verso una visione “pubblica” della . L'ultimo risultato scientifico di questo percorso, il documento della Lancet Commission sulla globale e lo sviluppo sostenibile del 2018[1], delinea lo stretto legame tra il benessere psichico della popolazione mondiale e la qualità dell'inclusione sociale, l'accesso ai diritti, la riduzione delle disuguaglianze socioeconomiche. Per i vari protagonisti di questo difficile percorso l'obiettivo è stato quello di superare il ruolo marginale della nelle politiche sanitarie riformandone l'approccio: in parziale accordo con le esperienze più progressiste di rinnovamento psichiatrico nazionali (tra cui è centrale l'esperienza italiana di deistituzionalizzazione) si tratta sostanzialmente di contestualizzare la tutela della salute mentale nell'ambito della vita comunitaria e dello sviluppo socio-economico sostenibile. Il primo effetto di questo discorso è che viene meno la specificità esaustiva della “malattia mentale” come oggetto di interesse clinico ma si inizia finalmente a cogliere che “il diritto alla salute mentale”, oltre ad essere messo a dura prova dalle contraddizioni socioeconomiche che attraversano ogni angolo del globo, è un elemento essenziale per determinare i modelli di sviluppo, la distribuzione di risorse, la produttività, la stessa qualità dei sistemi politici locali[2].

Sul piano degli strumenti, il discorso della “” ha posto l'accento (secondo alcuni osservatori non ancora abbastanza[3]) sulla qualità etica dei servizi offerti, sulla cura dei fattori sociali, politici ed economici che determinano il benessere psichico, sulla rilevanza dei diritti sociali, civili e di partecipazione politica per una buona salute mentale. Inoltre, come sembra affermare lo stesso concetto di “Global” che caratterizza questo programma, l'obiettivo di questo discorso sta nel presentare strategie universali, applicabili ai diversi contesti locali nel rispetto delle loro caratteristiche peculiari, ma complessivamente frutto di intense forme di cooperazione internazionale. La pandemia di sta mostrando le tante debolezze, culturali, politiche e istituzionali, di questa prospettiva nella sua realizzazione pratica e costituisce una buona occasione per avviare una riflessione costruttiva su quali elementi vanno immediatamente abbandonati e quali invece rafforzati per immaginare un mondo in cui un approccio di questo tipo sia ancora pensabile e perseguibile.

 

Criticità della salute pubblica di fronte al

In primo luogo, sulla base delle (ancora poche) conoscenze sulla letalità e sulle conseguenze del nuovo Coronavirus, è emersa la frammentarietà e la disgregazione con cui le singole politiche nazionali hanno affrontato i primi due mesi di quella che l', dal 31 gennaio 2020, ha definito “un'emergenza sanitaria globale”. In netta contraddizione con la definizione di “globale” fornita dall', abbiamo assistito ad un richiudersi delle reazioni sull'orizzonte ristretto delle politiche nazionali, o ancora peggio regionali; sul piano della circolazione dei dispositivi sanitari, delle politiche economiche di sostegno, delle misure da mettere in atto per contenere l'effetto della pandemia, si è rivelato intempestivo e debole il portato delle grandi organizzazioni sovranazionali, come l'ONU e la stessa Unione Europea. Nonostante dal 2006 sia stato sviluppato a livello internazionale un protocollo per il controllo delle epidemie virali[4] (rispetto alle quali l' afferma che è necessario un modello d'azione globale) pochissimo si è visto in questi giorni della disponibilità dei singoli Stati a garantire un'adeguata uniformità e una comune responsabilità rispetto ai metodi di rilevazione dei dati epidemiologici e alle forme di controllo del contagio. Il rischio in questo contesto è che ne esca fortemente ridimensionata la credibilità delle istituzioni di Salute Pubblica a livello globale, anche in considerazione del fatto che l'organo sovranazionale che dovrebbe garantirne l'applicazione ha dichiarato proprio in questi giorni di stare scontando una forte debolezza economica e di capacità di implementazione di politiche rispetto ai singoli stati, colpevoli di lunghi anni di scarsa adesione al programma di finanziamento globale che era stato richiesto[5].

Pochissima rilevanza sta avendo la dimensione della Salute Mentale Globale nella definizione delle azioni e delle politiche dei singoli Stati, nonostante il paradigma della “” abbia appurato che la Salute Mentale è condizionata da tutte le politiche pubbliche che impattano sui suoi fattori determinanti a livello economico e sociale. Per restare nell'ambito delle misure di profilassi sanitaria, e della loro comunicazione da parte dei politici, è sempre più pertinente il rischio di sovrastimare la funzione delle “prove muscolari” di controllo del territorio in contrasto con le evidenze scientifiche che invece consigliano di affiancare il peso relativo di queste misure ad ampie azioni di tracciamento attivo dei contagi attraverso tamponi e rilevazioni delle storie di trasmissione, di aumentare la capacità di accoglienza complessiva dei sistemi sanitari, sociosanitari e di sostegno territoriale. Una eccessiva focalizzazione sulle sole misure di distanziamento sociale e sui vari e progressivi livelli di intensificazione del “lockdown” attraverso sempre più intense misure repressive sembra piuttosto l'esito di un'operazione che ha principalmente obiettivi emotivi e attraverso cui sembra emergere una competizione tra decisori politici nel “mostrare cautela” che ha l'effetto di realizzare una forma di infantilizzazione della collettività[6], andando in contraddizione con le stesse indicazioni di salute mentale pubblica promosse dall'Unione Europea[7].

Ciò che sta emergendo, dopo la terza settimana di misure di distanziamento sociale, è l'equilibrio distorto che è venuto a stabilirsi tra trattamenti ospedalieri e territoriali. Secondo il recente articolo pubblicato dal British Medical Journal, dalle due ultime settimane di gestione della pandemia in Italia risulta la necessità di riequilibrare il modello assistenziale aumentando la risposta territoriale, dotando i sanitari del territorio di adeguate risorse, aumentando la disponibilità di dispositivi di protezione per gli operatori. Gli articoli “At the Epicenter of the Pandemic and Humanitarian Crises in Italy: Changing Perspectives on Preparation and Mitigation”, pubblicato il 20 marzo sul “New England Journal of Medicine”[8], e la lettera a firma del Presidente Nazionale FNOMCeO (Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri) Dr. Filippo Anelli a nome di tutti gli Ordini dei Medici italiani Pubblicata sul British Medical Journal il 26 Marzo[9] evidenziano la necessità che gli altri paesi imparino dai disagi italiani preparando fin da subito un livello territoriale di assistenza, favorendo la desaturazione dei presidi ospedalieri (che rischiano di divenire focolai e di venire intasati da richieste che sarebbe possibile trattare sul territorio) e garantendo forme adeguate di housing per lo svolgimento della quarantena. L'emergenza sembra far venire al pettine una criticità storica dei nostri sistemi di salute pubblica: oggi che la quarantena va avanti possiamo considerare quanto può essere critica la presenza nelle case di persone con sintomatologia, quanto rischi di aumentare il peso di cura e la diffusione del contagio sulle famiglie; oltre alla trasformazione delle case stesse in possibili focolai, assistiamo ad una medesima situazione drammatica nelle molte strutture sanitarie e sociosanitarie residenziali che si occupano di disabili e anziani. Non è da oggi che si conoscono le contraddizioni della residenzialità sociosanitaria per quanto riguarda la salute mentale ma anche per quanto riguarda gli anziani e i disabili[10]. Un modello di salute mentale pubblica che dobbiamo impegnarci da oggi a costruire ha l'obbligo di ripensare la residenzialità sociosanitaria, riconvertendo risorse verso modelli comunitari veramente sostenuti da una spesa pubblica più efficace, come ha indicato il modello del Budget di Salute nell'ambito della salute mentale.

L'effetto di infantilizzazione creato dalla mera concentrazione su “prove muscolari” tende ad eludere il dibattito pubblico sulle varie possibilità di gestione della situazione e impedisce di considerare la società civile come soggetto responsabile con cui interloquire. Può essere forse comprensibile che si sacrifichi il dibattito e si ritengano superflui i metodi di coinvolgimento della società civile in una prima fase dell'emergenza; nel tempo questo approccio è insostenibile. La prolungata esclusione delle comunità da ruoli socialmente costruttivi produce frustrazione e delegittimazione, la spinta a partecipare alla gestione della situazione che riguarda la salute pubblica rischia di essere canalizzata dalle istituzioni unicamente in attività di delazione e segnalazione dei cittadini che non rispettano le regole, pratica che alla lunga distrugge il tessuto comunitario stesso[11]. Non mancano in queste ore primi segnali in controtendenza a questo processo: la Regione Emilia – Romagna in data 25 marzo ha elaborato delle linee guida sul ruolo del volontariato e del terzo settore, anche impegnato in attività di assistenza sociale non residenziale, affermando che le attività dei volontari non sono soggette alle restrizioni imposte dai vari Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri[12]. Consideriamo che questo è un significativo passo avanti, anche tenendo conto del fondamentale ruolo del volontariato nel sostegno ai servizi di salute mentale, ma è necessario un maggiore intervento di stimolo a livello nazionale che chiarisca sistematicamente questa linea di indirizzo. Nello stesso solco, in queste ore si sono moltiplicati appelli e prese di posizione, anche da parte di rappresentanti istituzionali, che riguardano la necessità di allentare il peso delle restrizioni per i bambini[13] [14], per le persone affette da autismo e da disagio psichico[15], per il bisogno, che può essere inteso di tipo sanitario, di uscite all'aria aperta (che non compromettano il necessario distanziamento sociale) per le persone con malattie psichiatriche o croniche.

Una osservazione si rende necessaria, secondo i principi della : le misure sanitarie non sono neutre ma impattano sulle condizioni socioeconomiche dei gruppi e dei territori su cui intervengono e in base ad esse dovrebbero essere modulate, con particolare attenzione verso i gruppi più svantaggiati. Non tenere conto di particolari situazioni di svantaggio sociale rende nocive delle misure sanitarie altrimenti genericamente sensate. Ne abbiamo visto in questi giorni l'esempio con i detenuti, costretti in condizioni nelle quali non è possibile adottare alcuna forma di distanziamento sociale finalizzato al contenimento del rischio di contagio[16], e con gli homeless, colpiti dalle misure penali perché non potevano “restare a casa”[17]; la contraddizione derivante dall'applicare misure non opportunamente modulate sui vari contesti socioeconomici si è vista anche nelle fabbriche e nei settori produttivi che sono stati attraversati da scioperi o agitazioni sindacali. Non si può pensare a misure di salute pubblica senza tenere conto che esse vanno ad applicarsi su situazioni variabili: è inevitabile che una lavoratrice di call center che promuove vendite online di prodotti non essenziali o che un operaio della logistica che mobilita merci la cui distribuzione in questo momento è superflua trovi ingiusta la sua sovraesposizione a un rischio altrimenti osteggiato con tanta cautela dalle pubbliche autorità nei parchi e al di fuori delle necessità del sistema economico di produrre valore.

 

Politiche di salute mentale e

Nello specifico dei Servizi di Salute Mentale, sono da rilevare da subito le forti preoccupazioni espresse dalla presidente dell'Unione Nazionale delle Associazioni per la Salute Mentale (UNASaM): “Dalle misure disposte e da quelle annunciate, risulta lo sforzo di contrastare l'attuale emergenza con una particolare attenzione alle persone più vulnerabili. Tuttavia riteniamo necessario disposizioni chiare valide su tutto il territorio nazionale per contenere l'allarme e prevenire l'abbandono, chiarendo che i servizi territoriali devono garantire le attività terapeutiche e riabilitative ovunque in Italia, e indicando esplicitamente le tipologie di attività da garantire. Ciò tanto più a fronte di scelte difformi tra regioni, alcune delle quali hanno disposto la sospensione dell'attività ordinaria dei servizi, mentre in altre regioni e Asl assistiamo allo sforzo generoso degli operatori con attività che assicurano insieme il sostegno delle persone più fragili e la protezione di tutti. Servono ulteriori e più stringenti (non come ora facoltative) disposizioni rispetto a quelle contenute nell'articolo 9 del Decreto Legge 14/2020 rivolte alle persone con disabilità, e disposizioni destinate ad assicurare, con le necessarie misure di prevenzione e protezione per operatori e cittadini-utenti, l'assistenza territoriale e domiciliare alle persone con problemi di salute mentale[18]. In questo senso vanno le indicazioni della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica che cercano di mantenere gli standard minimi di attività razionalizzando i comportamenti dei servizi che nei vari contesti territoriali hanno ridotto la loro apertura[19].

Con l'inasprirsi delle misure di distanziamento sociale, la presidente Gisella Trincas torna ad esprimersi: “Potenziare la rete territoriale era fondamentale per non intasare gli ospedali e i pronto soccorso, per la continuità terapeutica e assistenziale delle persone più fragili che avrebbe anche consentito il monitoraggio di un possibile sviluppo del contagio. Per prevenire un possibile peggioramento delle condizioni psichiche e sanitarie in generale, non solo degli utenti già in carico ai servizi ma della cittadinanza duramente provata dalle restrizioni delle libertà personali, dall'isolamento, e dai timori per la propria vita e la vita dei propri cari, dai cittadini colpiti dall'epidemia. Ma anche per il doveroso e necessario sostegno alle persone che stanno vivendo l'esperienza più drammatica della loro esistenza, la perdita dei loro cari in ospedale che muoiono senza il conforto e distanti dalle persone che amano. Una esperienza terribile che nessuno di noi vorrebbe vivere.. Si poteva fare, in collaborazione con i medici di medicina generale, con la cooperazione sociale, con le organizzazioni di volontariato e dei familiari. Si poteva fare ovunque come è avvenuto in alcune realtà territoriali. Si poteva e si può fare. La libertà di movimento, la relazione terapeutica, l'affettività, la qualità del tempo di vita, l'impegno, sono ingredienti fondamentali nel percorso individuale di ripresa, nella riconquista di una fiducia perduta. E il Governo aveva e ha la responsabilità di indicare azioni e strategie per tutelare la salute di chi vive la condizione della sofferenza mentale (e per tutte le fragilità maggiormente esposte) pur nella grave emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Auspichiamo, nella eventualità che l'emergenza sanitaria costringa (come temiamo) al prolungamento delle misure restrittive e dell'isolamento, una attenzione urgente e responsabile verso la parte più fragile della nostra società, senza abbandonare nessuno”[20]. Il suo intervento suscita un ampliamento del dibattito su come calare le misure di profilassi antivirale nel contesto della salute mentale. Un dibattito che, con molto ritardo e solo grazie all'azione delle Associazioni di Familiari, finalmente riparte[21].

La gestione dell'emergenza, rispetto alle persone deboli e sole, sta mostrando in pratica la debolezza della sanità territoriale rispetto a quella ospedaliera; la colpevolizzazione dei comportamenti dei singoli sta offuscando la mancata realizzazione di programmi complessivi di strutturazione di una forte sanità territoriale pubblica. Le associazioni, la Conferenza per la Salute Mentale, gli Stakeholders, riprendendo parola nel dibattito pubblico che sembrerebbe inaridito dall'emergenzialità, riportano al pettine i nodi cari alla . E in primo luogo la funzione di questo dibattito è quella di riconoscere che le dinamiche che iniziano a verificarsi (per esempio, l'impennata del numero di Trattamenti sanitari obbligatori a Torino e in altre città) sono le dinamiche tipiche di un servizio che si concentra solo sulle urgenze e tralascia le dimensioni territoriali legate ai diritti e all'inclusione sociale. Le situazioni emergenziali nell'era del sembra infatti che stiano ricalcando le situazioni precedenti. Interessante questa testimonianza di Antonio Esposito per capire: “Restano aperti i Centri di salute mentale, è vero, ma la maggior parte svolge un'azione estremamente contingentata, per lo più limitata alle situazioni in cui è inevitabile la somministrazione in loco dei farmaci o si rende improcrastinabile una prima accoglienza, tra l'altro resa ancora più complessa dalla assoluta carenza di adeguati mezzi di protezione individuale, con i pochi a disposizione tenuti spesso “in riserva” per le esigenze di eventuali trattamenti sanitari obbligatori (una carenza che limita ulteriormente gli interventi domiciliari, ridotti, nei fatti, ai casi indifferibili). (…) Non mancano le eccezioni: a Gorizia i precedenti investimenti in salute mentale, una lungimirante governance del comparto e la storica interconnessione tra pubblico e privato hanno determinato una positiva riorganizzazione dei servizi (…) Altrove, dove anche i Centri di salute mentale aperti sulle ventiquattr'ore restano un miraggio e i servizi vivono una lunga, perdurante crisi, si fa molta più fatica, e non è solo una questione di quanti soldi sono destinati al comparto, ma anche e soprattutto di come si spendono, di quali sono le politiche e i programmi che si mettono in campo. E le differenze, inevitabilmente, si amplificano nei momenti di crisi. In salute mentale, come in tutti gli altri settori della società, pure il virus non è uguale per tutti”[22].

Se l'ipotesi è dunque che l'emergenzialità riveli il vero volto dei servizi di salute mentale, nelle loro differenze culturali territoriali, è vero quanto dice Roberto Mezzina: che una cultura solo ambulatoriale, emergenziale, ha posto i professionisti della salute mentale fuori dalla possibilità di interagire con il “corpo sociale” in un momento così complesso. “Si conferma di fatto, in tutta la sua rilevanza e drammaticità, il gradiente sociale della salute mentale: il disagio dei più poveri, di chi sta solo, o anche ammassato, in buchi angusti. Molti possono non avere da mangiare e non accedono a mense sociali o attive nei servizi stessi. Bisogna ricordarsi di assicurare bisogni primari, anche con consegne di pasti. I senza casa poi, sono persi in un nulla sociale, senza elemosine neppure perché non c'è gente per le strade, senza cibi caldi se non con lodevoli sforzi di una parte del volontariato. Qui i servizi devono fare “outreach”, raggiungere chi non vi accede, anche per strada, e sostenere in modo potente con chi garantisce la sopravvivenza, mobilizzando tutte le risorse possibili dei territori, dei rioni, delle associazioni, delle chiese”[23].

In un'ottica di , il primo elemento è la certezza di politiche pubbliche che sappiano affrontare queste contraddizioni del corpo sociale, queste contraddizioni di accesso ai diritti sociali minimi. E per l'accesso ai diritti sociali bisogna mantenere i diritti civili, il dibattito politico, la possibilità di proteggersi dall'invadenza delle misure “biopolitiche”[24]. È necessario pretendere chiare, sicure, nette, dall'housing a un reddito di base incondizionato, fondato su misure di solidarietà straordinarie che riducano il primo fattore di rischio della salute mentale di un popolo: l'incertezza sulla sua sopravvivenza. Ed è necessario che, già da ora, si inizi a discutere sulle scelte politiche che definiscono risorse e culture dei sistemi sanitari. Per esempio se sia sufficiente e correttamente orientata la spesa sanitaria nazionale, se siano corrette le modalità di contrattazione tra pubblico e privato nella sanità regionale, se siamo ancora capaci di considerare la salute come un diritto oppure la retorica imperante ci ha portato a considerare la salute solo come l'esito dei corretti e disciplinati comportamenti individuali. Il coinvolgimento e la responsabilizzaizone dei cittadini su questi temi, attraverso un dibattito serio e informato, è un compito rispondente ai principi di Global Mental Health in questo momento.

 

Su che basi ricominciare

Complessivamente, vari altri aspetti della gestione di questa emergenza stanno mettendo a dura prova la salute mentale delle popolazioni e si stanno sostanzialmente allontanando dalle indicazioni della Global Mental Health. Sul piano “narrativo” è stato sottolineato l'impatto negativo di un discorso che rappresenta la situazione attuale come una “guerra”[25]. La guerra, che è uno dei maggiori eventi che provocano sofferenza mentale nella popolazione, implica la definizione di una faglia amico\nemico che è esattamente il contrario di ciò che invece forme di intervento basate sulla cooperazione e su una comune definizione di umanità dovrebbero proporre. L'isteria prodotta dal discorso guerresco non ha tardato a far emergere fenomeni di “capro espiatorio” simili a quelli narrati nelle epidemie letterarie: le “fake news” su un virus prodotto in laboratorio con oscure finalità di bioterrorismo, la caccia agli untori che corrono nei parchi (sulla base di nessuna evidenza scientifica che questo comportamento possa favorire il contagio), il concentrarsi della retorica dell'inimicizia su specifiche etnie o gruppi che sarebbero responsabili del contagio, sono tutti effetti di una retorica guerresca e di “mobilitazione militare” della popolazione, esattamente il contrario di ciò che si richiede di mettere in atto durante una emergenza sanitaria, vale a dire la cooperazione e il mutuo aiuto.

Come spiega bene il libro “Spillover. L'evoluzione delle pandemie”, di David Quammen, non c'è una guerra e un nemico ma ci sono le conseguenze sistemiche delle nostre azioni. “Nei nostri ecosistemi si trovano molti tipi diversi di specie animali, piante, funghi, batteri e altre forme di diversità biologica, tutte creature cellulari. Un virus non è una creatura cellulare, è un tratto di materiale genetico all'interno di una capsula proteica e può riprodursi solo entrando all'interno di una creatura cellulare. Molte specie animali sono portatrici di forme di virus uniche. Ed eccoci qui come potenziale nuovo ospite. Così i virus ci infettano. Così, quando noi umani interferiamo con i diversi ecosistemi, quando abbattiamo gli alberi e deforestiamo, scaviamo pozzi e miniere, catturiamo animali, li uccidiamo o li catturiamo vivi per venderli in un mercato, disturbiamo questi ecosistemi e scateniamo nuovi virus”[26]. La retorica guerresca, oltre a produrre finti nemici interni, ci fornisce l'alibi per non considerare la dimensione sistemica della nostra responsabilità di cura dell'ambiente, un altro dei determinanti di salute che la Global Mental Health considera centrale.

 

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[1] “The Lancet Commission on global mental health and sustainable development” Published: October 10, 2018

[2] European Commission, “Situation Analysis and Policy Recommendations in Mental Health in All Policies. Joint Action on Mental Health and Wellbeing Situation Analysis and Policy Recommendations in Mental Health in All Policies”, published December 2015

[3] Che cosa è oggi la psichiatria? Luci e ombre della global mental health”, Benedetto Saraceno, la Rivista delle / Italian Journal of Social Policy, 2/2018

[4]Il portale dell'epidemiologia per la sanità pubblica a cura dell'Istituto superiore di sanità

[5] “L'Oms sta cambiando pelle ma serve un nuovo accordo sui finanziamenti”. di Nicoletta Dentico (Vice-presidente, Osservatorio italiano sulla Salute globale) e anche “L'Oms ha bisogno di fondi per combattere il coronavirus, ma per ora gli Stati latitano”. “L'organizzazione ha richiesto, oltre un mese fa, 620 milioni in più per far fronte all'emergenza. Ma, ad oggi, ne sono arrivati poco più di un milione”.

[6] Su questo molto interessante articolo di Peter C. Gøtzsche, “The Coronavirus mass panic is not justified” Published on 24. March 2020 e un articolo del Wall Street Journal che fa riferimento al dibattito suscitato dalle sue posizioni e da quelle di Aaron Ginn: “Controlling the Virus Narrative. Medium takes down an essay arguing against hysteria

[7] Il paradigma della salute mentale globale afferma che è essenziale la partecipazione degli stakeholders: “Inclusion of communities, social movements and civil society in the development, implementation and monitoring of MHiAP provides accountability and sustainability of policy actions, and supports transparent monitoring and audit of policy outcomes”.

[8] In a pandemic, patient-centered care is inadequate and must be replaced by community-centered care. Solutions for Covid-19 are required for the entire population, not only for hospitals. The catastrophe unfolding in wealthy Lombardy could happen anywhere. Clinicians at a hospital at the epicenter call for a long-term plan for the next pandemic.

[9] Sul British Medical Journal le Richieste Immediate dei Medici Italiani: più protezione e test rapidi in ospedale, maggiore impegno nella sorveglianza sul territorio

[10] Salute mentale, l'allarme del dirigente Ausl: “Affrontiamo solo la metà del fabbisogno”. A Roma il dottor Fabrizio Starace ha esplicitato una serie di preoccupazioni sulla gestione di questo delicato comparto sanitario, al quale va il 3,5% della spesa pubblica. Chiesta più flessibilità negli appalti per l'assistenza. Le parole di Fabrizio Starace: “Occorre superare i meccanismi amministrativi che impediscono al budget di salute di essere adottato come strumento ordinario per sostenere i progetti personalizzati e individualizzati di tipo terapeutico e riabilitativo. Questa misura, purtroppo, confligge con alcune norme del codice degli appalti – sottolinea Starace – che prevedono gare, impediscono l'artificiosa suddivisione in lotti e prescrivono il principio di rotazione degli inviti e degli affidamenti. Come se avendo affidato un progetto personalizzato a una compagine sociale – rimarca il presidente Siep- poi, dopo un anno, dobbiamo cambiare compagine sociale per rispettare il codice degli appalti e costringere la persona a riorganizzare la sua esistenza con altri operatori di riferimento e magari in altri contesti. Sono provvedimenti che vanno bene per l'acquisto di beni e servizi concreti, non per gli interventi personalizzati. Urge riallocare tutta la spesa della residenzialità in salute mentale, che corrisponde alla metà dei circa 4 miliardi bloccati in assistenza residenziale e semiresidenziale, con permanenze lunghe anni e, nella maggioranza dei casi, senza consentire ai soggetti di recuperare autonomia”

[11] Interessante a questo proposito la riflessione di Pietro Saitta rispetto agli effetti della comunicazione emotiva come performance: “ciò che appare rilevante è che questa condizione sembra un preludio alla fine delle funzioni classiche dello Stato e alla trasformazione del governo in semplice performance, utile per l'appunto a dare luogo a un'ennesima condivisione”.
Dal punto di vista della qualità del legame comunitario, si veda in calce il flyer che condivide sulla sua pagina Facebook Maria Augusta Nicoli.

[12]“Si ritiene prioritario, per tutta la durata dell'emergenza, sostenere tale funzione sul territorio regionale e, considerata la natura delle attività di volontariato come di seguito delineate, si ritiene esse rientrino a pieno titolo fra quelle consentite ai sensi del DPCM del 22 marzo 2020, come desumibile dall'art. 1 comma 1 lett. f) “….Resta altresì consentita ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l'emergenza” e dall'allegato 1 al medesimo DPCM in riferimento ai codici ATECO “87 – Servizi di assistenza sociale residenziale” e “88 – Assistenza sociale non residenziale”. In relazione alle limitazioni della mobilità di persone fisiche all'interno di tutto territorio regionale, si conferma la compatibilità degli spostamenti finalizzati esclusivamente alle attività di volontariato correlate all'emergenza in corso, come quelle descritte nel presente documento”. Vedi Allegato

[13 La Garante evidenzia infine la necessità di comunicazioni istituzionali più chiare e tutto il suo supporto alla lettera che un gruppo di genitori ha inviato al sindaco di Firenze, Dario Nardella, chiedendo risposte sulla proporzionalità dei provvedimenti che vietano ai bambini di uscire di casa anche solo per poco. “Coronavirus, il Garante dell'Infanzia e l'Adolescenza della Toscana lancia un appello per non dimenticare le vittime indirette”

[14]  Firenze, caro sindaco i bambini devono poter uscire almeno mezz'ora, Lettera aperta a Dario Nardella

[15] La Consulta Disabili del FVG “strappa” la promessa della liberazione dalla “detenzione domiciliare” dei disabili psichici. La Regione firmerà un'ordinanza per permettere agli operatori dei centri diurni, agli educatori e agli insegnanti di sostegno di raggiungere a casa i loro utenti con disabilità. Si lavorerà ad una soluzione per permettere a persone con disturbi di tipo mentale di uscire all'aperto per brevi periodi durante il giorno e si punterà a dotare le strutture residenziali di mascherine e di tutte le strumentazioni di tipo ospedaliero necessarie ad affrontare l'emergenza. Questo è quanto è emerso dal confronto che ha messo di fronte sul tema dei provvedimenti da adottare per il contenimento del Covid-19, in videoconferenza, da un lato l'assessore regionale alla Salute Riccardo Riccardi e la direttrice generale della Direzione Salute Gianna Zamaro, e dall'altro il presidente della Consulta regionale delle associazioni delle persone con disabilità Mario Brancati, affiancato dai rappresentanti della Federazione italiana per il superamento dell'handicap (Fish), della Federazione tra le associazioni nazionali delle persone con disabilità (Fand) e delle strutture residenziali e semi-residenziali per disabili della regione”. La segreteria – Consulta regionale delle associazioni delle persone con disabilità e delle loro famiglie del FVG ONLUS c/o Direzione centrale salute, e disabilità del Friuli Venezia Giulia Riva N. Sauro, 8 – 34124 Trieste Codice Fiscale: 94025740302 PEC: consultadisabili@certregione.fvg.it

[16] Coronavirus, il garante dei detenuti: “Nelle carceri non è più tempo di rivolte. ma deve uscire subito chi ha poca pena da scontare” Mauro Palma, garante nazionale dei detenuti: L'appello ai Comuni: “Si diano da fare per dare un domicilio a chi non ce l'ha”. E sui braccialetti elettronici: “Non bastano”

[17]   “Fatti verbali ai clochard. Non si sanzioni chi non ha una casa”: la denuncia di Avvocato di Strada. Dalla onlus che difende i senzatetto un appello alle istituzioni: “Sia dato loro un tetto e un medico in questo momento di emergenza coronavirus”

[18]    CONFERENZA SALUTE MENTALE SU EMERGENZA CORONAVIRUS: garantire diritti alle persone più fragili

[19]  ISTRUZIONI OPERATIVE SIEP PER LE ATTIVITÀ DEI DSM IN CORSO DI EMERGENZA CORONAVIRUS

[20]http://www.conferenzasalutementale.it/2020/03/24/coronavirus-vi-siete-dimenticati-dei-piu-vulnerabili-e-delle-loro-famiglie-di-gisella-trincas/

[21] Per esempio l'intervento di Nerina Dirindin: “Adesso, però, abbiamo bisogno di servizi socio sanitari territoriali anche per i pazienti che non hanno il coronavirus ma che hanno bisogno di continuità delle cure, di relazioni regolari con gli operatori sanitari. Mi riferisco ai malati di mente, alle persone disabili, alle persone che vivono sole o non autosufficienti, alle persone ospitate nelle strutture sanitarie residenziali. Persone che hanno dovuto interrompere i contatti con i familiari, i volontari, gli operatori dei servizi. Penso ad esempio alle persone con disturbi mentali: per molti di loro frequentare un centro di salute mentale è fondamentale. Ora rischiano l'isolamento. Per non parlare dei senzatetto, ovviamente… In sintesi sono i più vulnerabili che rischiano l'abbandono: una ‘piccola' emergenza dentro a una grande emergenza. Una ‘piccola' emergenza che, se trascurata, si trasformerà anch'essa in una grande emergenza. Nel rispetto delle necessarie misure di sicurezza, alcuni servizi territoriali devono essere assicurati, nonostante il coronavirus, magari modificati nella modalità di erogazione. Non dobbiamo, ancora una volta, pensare solo a potenziare l'offerta ospedaliera, pur necessaria. Dobbiamo evitare di sospendere l'offerta sul territorio a favore delle persone più vulnerabili”.

[22] 24 Marzo 2020, Napoli Monitor, “Figli di un virus minore. Storie dalla frontiera della salute mentale

[23]   “Salute mentale: servizi, individui e corpo sociale all'epoca del coronavirus” di Roberto Mezzina

[24] Su questo si veda: “Proteggere le nostre libertà civili durante una emergenza di salute pubblica

[25]Per parlare dell'emergenza sanitaria del Covid19 quella in uso è una terminologia di guerra. Ma un altro lessico è possibile? Dal collettivo Wu Ming all'Accademia della Crusca, dal linguista Massimo Vedovelli al direttore di RadioTre Marino Sinibaldi, ecco cosa ci hanno risposto…”

[26]  David Quammen: «Questo virus è più pericoloso di Ebola e Sars» L'intervista. L'autore di «Spillover» (Adelphi, 2014) spiega il nesso tra uomini e pipistrelli. E perché la pandemia dipende soprattutto da noi.

Flyer diffuso in questi giorni sui social media.

Flyer diffuso in questi giorni sui social media.